Fuori dall’azienda ad ogni costo. Quando non basta accusare un dipendente di aver messo a rischio i dati contabili dell’impresa per cui lavora, quando non basta accusarlo di aver cancellato dal notebook aziendale dei documenti fondamentali, è possibile giocarsi la carta della pornografia. Vittima dell’accaduto, un dirigente di Sunrise, società americana che si occupa di assistenza per gli anziani.
Sono tutte accuse infondate, sono tutte insinuazioni, aveva protestato Bradley B. Rush nei mesi che hanno seguito il proprio licenziamento, avvenuto nella primavera dello scorso anno. Non aveva causato alcun problema all’azienda cancellando i dati che la società gli permetteva di archiviare su un laptop a sua disposizione per gestire il lavoro tra casa e ufficio, aveva spiegato ai giudici. L’azienda per cui lavorava deteneva i dati in altri archivi e per di più Rush era stato chiamato a restituire il laptop completamente ripulito. Per questo motivo il dirigente aveva controdenunciato per diffamazione la società per cui lavorava.
Ma la baruffa legale si è protratta: Rush si è difeso giustificando la cancellazione dei documenti contabili con il fatto che sul computer erano archiviati dei dati personali, dati che non avrebbero dovuto essere presenti sulla macchina al momento della restituzione. L’hard disk del laptop è dunque stato sottoposto a perizia per valutare la posizione delle parti in causa. Ne è risultato che il computer aveva ospitato una mole di pornografia , un ricettacolo di 25mila tra immagini e video per soli adulti, rimossi da Rush insieme ai documenti dell’azienda e insieme al materiale personale che avrebbe dovuto eliminare prima di consegnare la macchina.
Non era una pratica esplicitamente proibita dalla policy di Sunrise, quella di sollazzarsi con il computer fornito in dotazione. Non era vietato ai dipendenti utilizzare il notebook per scopi personali. Certo, se Rush dovesse svincolarsi dalle accuse di aver cancellato i documenti riservati relativi alla contabilità aziendale, la natura del materiale rinvenuto sul computer potrebbe però sostenere le ragioni dell’accusa.
Se la pratica del consumo di pornografia mediante i computer aziendali risulta ormai un’ abitudine assodata , non sono molte le imprese che si mostrano tolleranti nei confronti degli appassionati del genere. I dipendenti amanti del porno rendono meno dietro la scrivania, ma soprattutto infangano il brand aziendale. Dev’essere questo il motivo per cui Sunrise non ha tirato in ballo l’accusa di pornografia, nonostante ne fosse a conoscenza, e, hanno ammesso i vertici dell’azienda, avesse pesato nella decisione di allontanare il dirigente.
Gaia Bottà