SIAE sì, SIAE no! Solo il calendario ha evitato che diventasse il tormentone dell’estate, perché gli altri ingredienti c’erano tutti.
Due grandi nomi della musica italiana, Fedez e Gigi D’Alessio a fare da apripista e dichiarare, ciascuno con il proprio stile, di aver deciso di fare a meno della SIAE – la gloriosa società italiana autori ed editori fondata nel 1882 da da Giuseppe Verdi, Giosuè Carducci e Giovanni Verga – e di passare alla Soundreef, l’ormai ex startup con il cuore italiano ma di diritto inglese per necessità che, da qualche anno , promette di rivoluzionare, per sempre, il mercato dell’intermediazione dei diritti. E dietro a due degli artisti più amati dal grande pubblico e più gettonati della musica italiana, migliaia di voci e volti meno noti che hanno, però, scelto di fare la stessa scelta. 8mila autori ed editori italiani, secondo un lancio dell’Ansa di pochi giorni fa, il 10 per cento degli 80mila iscritti alla SIAE, in una manciata di mesi.
E, a far da controcanto all’esodo di Fedez, d’Alessio e degli ottomila ed a contribuire a riscaldare il clima ormai rovente per colpa dell’estate frattanto arrivata, una lettera a firma di mille artisti più e meno noti, con in testa Lorenzo Jovanotti e Tiziano Ferro, convinti che la SIAE ed il monopolio che le legge riconosce a quest’ultima sia un bene prezioso, da difendere ad ogni costo.
SIAE sì, Siae no! C’è chi dice resto e c’è chi dice vado.
Ma cosa sta succedendo davvero? Perché, dopo oltre 134 anni – tanti ne ha da poco compiuti la SIAE – a cavallo tra la primavera e l’estate nel 2016 la vita, il presente ed il futuro della Società Italiana Autori ed Editori stanno all’improvviso riempiendo le pagine di spettacolo, costume, società e persino politica di quotidiani, periodici, tele e radiogionali?
La risposta sta tutta in una Direttiva dell’Unione europea, la numero 26 del 26 febbraio 2014 nota come Direttiva Barnier, una Direttiva che stabilisce letteralmente, senza se e senza ma, che i titolari dei diritti d’autore devono essere liberi di scegliere a quale società di intermediazione dei diritti europea affidarsi, mettendo così dichiaratamente fuori legge, almeno con riferimento al mercato intra comunitario, ogni forma di esclusiva e monopolio.
Prima di proseguire, vale la pena riavvolgere il nastro per una manciata di secondi per esser certi che tutti, ma proprio tutti, possano ascoltare e capire il resto della canzone e scongiurare il rischio che questo mancato tormentone dell’estate si trasformi in un fatto pseudo-religioso con un fronte del sì ed un fronte del no, accomunati solo dal non aver capito sino in fondo il problema ma aver scelto di stare da una parte o dall’altra.
Il problema del quale si discute è tanto semplice quanto centrale per il futuro dell’industria culturale di casa nostra e, più in generale, per quello del nostro Paese, della nostra musica, del nostro cinema, del nostro teatro, della nostra letteratura e di ogni altra forma di arte e manifestazione del pensiero. A volerlo riassumere in un paio di tweet è questo: è giusto che un autore possa scegliere tra più società di intermediazione dei diritti a chi affidare la gestione dei propri diritti o è meglio che sia lo Stato a scegliere per lui, imponendogli di affidarsi ad una società monopolista che, tuttavia, non è né di proprietà, né gestita dallo Stato ma, al contrario, di proprietà e gestita dagli autori e dagli editori più ricchi?
L’Unione europea con la Direttiva 26/2014/UE ha fatto la sua scelta e analoga scelta, già prima della direttiva, avevano tutti i Paesi membri con le sole eccezioni di Italia e Repubblica Ceca: sì al libero mercato, sì alla libertà di scelta per autori ed editori, no a monopoli ed esclusive legali.
Che poi, in qualche Paese, il libero mercato abbia con il tempo portato ad oligopoli e, in alcuni casi, monopoli di fatto è evidentemente tutta un’altra storia perché sta a significare semplicemente che la concorrenza porta efficienza e che sulla strada dell’efficienza alcune società hanno saputo conquistarsi più e meglio delle altre la fiducia del maggior numero di autori ed editori che, potendo scegliere, le hanno scelte come loro rappresentanti e le hanno rese, legittimamente, grandi, forti ed efficienti.
E in Italia?
La SIAE ha da poco compiuto 134 anni, ed il suo è il più longevo dei monopoli italiani, senza eguali nel resto d’Europa.
Nessuno sin qui ha mai osato sfidarlo e contrastarlo e chi ci ha provato – in nome proprio della disciplina europea e, forse, ancor prima, del buon senso e del vento che spinge verso il futuro – si è ritrovato costretto ad affrontare la monopolista di Stato dell’intermediazione dei diritti in Tribunale. Sin qui senza né vinti né vincitori anche se, in un paio di occasioni, i Giudici hanno lasciato intendere di far fatica a credere che in un Europa che ha fatto del libero mercato unico il proprio fiore all’occhiello ci sia spazio per un monopolio nazionale dei diritti d’autore, ovvero proprio in un mercato che avendo per merce l’immateriale, non soffre limiti e confini geografici per definizione.
Ma val la pena lasciare che a scrivere le sentenze siano i giudici anche perché sarebbe scorretto suggerirne il contenuto senza lasciare fare altrettanto a chi, come la SIAE, ne auspica uno diverso.
Torniamo al recepimento della Direttiva europea.
Nei prossimi mesi il Governo, a ciò delegato dal Parlamento, dovrà decidere. A ben vedere il margine di manovra sarebbe davvero limitato, giacché la Direttiva non lascia grande spazio ai singoli Paesi, imponendo loro di consegnare ad autori ed editori la libertà di scegliere da quale società di intermediazione dei diritti farsi rappresentare senza riguardo alcuno al Paese di stabilimento.
Ma Dario Franceschini, Ministro dei Beni e delle attività culturali e, quindi, l’uomo al timone del Governo nella decisione in questione, la pensa in maniera completamente diversa e sembra pronto a sfidare l’Europa pur di garantire un altro secolo di vita al monopolio SIAE. Ed infatti, nei mesi scorsi, il Ministro si è presentato in Parlamento è ha detto senza troppe esitazioni di non aver dubbi che il monopolio della SIAE vada tutelato perché si tratterebbe di un patrimonio nazionale che l’Europa intera ci invidierebbe. Un’affermazione difficile da credere, in un’Europa che si è data come regola quella della libertà, almeno intracomunitaria, dei mercati, e nella quale non c’è un solo altro Paese che riconosca ad una cugina della SIAE un’esclusiva come quella che la legge riconosce a quest’ultima. Ma si tratta pur sempre delle parole di un Ministro della Repubblica e, purtroppo, logica e buon senso a parte, nulla e nessuno può smentirle.
Ed allora? Cosa c’è da aspettarsi? Come finirà questo tormentone nato in primavera, vissuto in estate e destinato a spegnersi, in un modo o nell’altro, tra l’autunno e l’inverno?
Fare pronostici in un campo affollato di giocatori professionisti della politica, leggi, decreti e direttive europee è un’impresa improba.
Nella partita in questione, peraltro, le incognite e le variabili sono ancora davvero tantissime.
Il Governo, tanto per cominciare, potrebbe davvero sfidare l’Europa e varare un decreto legislativo attraverso il quale nega agli autori ed agli editori italiani di scegliere a chi affidare l’intermediazione dei propri diritti, continuando ad imporre loro di fare da soli o affidarsi alla SIAE. Difficile però credere che l’Europa starebbe a guardare e che la Commissione o la Corte di Giustizia dell’Unione europea non imporrebbero, in fretta, al Ministro ed ai suoi un dietro front con pubblica gogna.
Il Governo potrebbe, quindi, scegliere una via di mezzo: liberi tutti di affidarsi ad un’altra società europea di intermediazione dei diritti, ma in Italia rimane solo la SIAE. Autori ed editori, quindi, potrebbero affidarsi alle cugine francesi, inglesi o tedesche della SIAE ed alle loro nipoti che, frattanto, nasceranno nel resto d’Europa. Sarebbe, però, una scelta maledettamente miope perché si finirebbe con il consegnare i diritti sulla cultura italiana in mano a soggetti extra-nazionali in nome di un protezionismo sciocco e d’altri tempi.
Che senso avrebbe? Chiedere al Governo per avere una risposta.
È, infine, possibile che prima ancora che il Governo decida, ci pensino i giudici – quelli italiani prima e quelli europei poi – a chiudere la partita, decidendo il Giudizio che attualmente vede contrapposti SIAE e Soundreef, in un senso o nell’altro, e dicendo, una volta per tutte, se un monopolio come quello della SIAE è legittimo oppure no.
Non resta che aspettare e sperare, ciascuno quel che ritiene meglio per sé ma, auspicabilmente, tutti insieme, ciò che si ritiene meglio per il nostro Paese, per la nostra cultura, per i nostri autori e per i nostri editori.
Guido Scorza
Presidente Istituto per le politiche dell’innovazione
www.guidoscorza.it
Nota di trasparenza: assisto professionalmente Soundreef. Nonostante ogni sforzo di obiettività è bene che il lettore lo sappia. Quello che scrivo, lo scrivo a titolo personale e non rappresenta la posizione di Soundreef.