Milano – C’è praticamente tutta l’industria tecnologia a stelle e strisce tra i firmatari di un amicus brief presentato in Minnesota e Washington presso le corti del 9 Circuito. Le grandi aziende di Silicon Valley (e non solo) appoggiano i ricorsi presentati dai procuratori dei due stati contro l’ordine esecutivo emanato dal neo-presidente Donald Trump in materia di immigrazione: argomento delicato visto che, come scritto nero su bianco, si tratta di un’iniziativa che potenzialmente può danneggiare il business di queste imprese ad alto tasso di innovazione . Documento che segue giorni di proteste, che hanno persino spinto allo sciopero per portare in piazza le ragioni di chi si oppone all’ordine esecutivo.
Dopo una settimana di dichiarazioni piuttosto esplicite da parte di tanti CEO e altri dirigenti delle grandi aziende (Sheryl Sandberg, braccio destro di Zuckerberg in Facebook, è stata davvero netta nelle sue parole ), culminata venerdì scorso con l’abbandono da parte di Travis Kalanick dopo le polemiche che hanno circondato la sua Uber, ora c’è ufficialmente un fronte comune: Apple, Intel, Airbnb, Autodesk, Dropbox, eBay, Facebook, Foursquare, GitHub, Google, Indigogo, Intel, Kickstarter, Linkedin, Mozilla, Netflix, PayPal, Reddit, Twitter, Wikimedia, Yelp e pure Uber stessa figurano tra i 97 firmatari di un documento che offre nel dettaglio ai giudici le argomentazioni che spiegano perché la politica di Trump potrebbe rivelarsi dannosa .
Ci potrebbero essere danni economici , visto che moltissime tra startup e aziende consolidate fanno affidamento su personale proveniente da moltissimi paesi in giro per il mondo – compresi quelli previsti nel bando attuale. Senza contare che tra i fondatori e CEO di aziende di grande successo figurano manager stimati e dalla competenza riconosciuta che non hanno però passaporto statunitense, oppure sono figli di immigrati oggi pienamente e completamente integrati nella loro nazione di adozione: fare a meno del talento e delle competenze di questi individui significherebbe probabilmente impoverire il tessuto imprenditoriale che anima da decenni Silicon Valley.
L’ amicus brief si spinge oltre, facendo leva sui robusti ufficili legali che i 97 firmatari possono vantare: dunque offre anche un’opinione tecnica mettendo in luce i profili critici dell’ordine esecutivo emesso da Trump , che pone anche delle problematiche relative alla discriminazione visto che uno degli effetti riguarderebbe la equa competizione per accaparrarsi i posti di lavoro nelle aziende americane. Senza contare , si sottolinea, che l’adozione dell’ordine esecutivo con preavviso praticamente zero per DHS e dogane secondo i fimatari avrebbe generato confusione, lungaggini e procurato un danno economico non ancora quantificabile ma destinato a crescere.
Mancano alcuni grandi nomi nella lista dei 97: manca Amazon, pur se Jeff Bezos si è già espresso contro questo ordine esecutivo e ha detto di voler sostenere il ricorso del Procuratore Generale di Washington in merito. Mancano Tesla e SpaceX , il cui CEO Elon Musk opera nel comitato che supporta la transizione di Trump in carica. Assenti per ora anche IBM e Oracle: Sfrac Catz, CEO di quest’ultima, opera anch’esso nello stesso comitato di Musk. Tra gli altri nomi assenti , HP e Yahoo.
Luca Annunziata