Oltre cinquecento dipendenti di società hi-tech americane, fra le quali anche Google, Twitter e Microsoft, hanno firmato una petizione nella quale affermano l’intenzione di non voler contribuire a realizzare il registro dei musulmani che fa parte del programma di Donald Trump. “Abbiamo scelto di solidarizzare con i musulmani americani, gli immigrati e con tutte le persone che sono toccate dalle politiche di schedatura dei dati personali che vorrebbe realizzare l’amministrazione entrante”, si legge nella lettera aperta postata sul sito neveragain.tech . “Ci rifiutiamo di creare un database di persone basato sulla loro credenza religiosa, che è protetta dalla Costituzione. Ci rifiutiamo di facilitare deportazioni di massa di persone che il governo ritiene essere indesiderate”.
L’iniziativa è stata intrapresa da Ka-Ping Yee, ingegnere software di Wave, e Leigh Honeywell, ingegnere alla sicurezza di Slack. “Ciò che è importante per me è che gli individui che si occupano di fare un uso etico della tecnologia, dicano che esistono delle linee di confine che non possono essere oltrepassate”, ha affermato Yee intervistato da BuzzFeed News . La lettera aperta contiene riferimenti all’Olocausto, all’internamento dei giapponesi americani durante la seconda guerra mondiale e al genocidio degli Armeni in Turchia.
Durante la sua campagna elettorale, il presidente eletto Donald Trump ha chiaramente espresso la sua intenzione di costituire un registro per gli immigrati dai paesi musulmani. Il suo team di transizione avrebbe intenzione di ristabilire un programma già messo in atto dopo gli attacchi dell’11 settembre 2001, conosciuto come National Security Entry-Exit Registration System , il quale richiede un particolare controllo delle persone provenienti dai paesi “a più alto rischio”. Il programma era stato bloccato nel 2011 dopo le critiche della comunità musulmana.
I firmatari affermano che ci sono ingegneri, progettisti e dirigenti provenienti da diverse società hi-tech, fra cui la Palantir Technologies del miliardario Peter Thiel, che stanno fornendo consulenza al team di transizione di Trump. Ai primi di dicembre, il sito web The Intercept ha chiesto a nove società – Facebook, Twitter, Microsoft, Google, Apple, IBM, Booz Allen Hamilton, SRA International e CGI – se fossero pronte da aiutare Trump a realizzare il registro dei musulmani, qualora fosse stato loro richiesto. Solo Twitter e Facebook hanno detto di no, le altre non hanno ancora risposto né commentato.
Attualmente, hanno firmato la lettera di protesta in 585. Nella lettera aperta dei lavoratori hi-tech si specifica, comunque, che il fatto che dipendenti di alcune società abbiano firmato la petizione non significa che le società stesse rifiutino di cooperare con la creazione del registro. Insomma, l’indicazione dell’azienda a fianco al nome del firmatario non la coinvolge in alcun modo. Va comunque ricordato che la Silicon Valley ha mostrato una decisa opposizione a Donald Trump prima delle elezioni e ora attraversa un momento di incertezza su cosa la sua presidenza potrà significare per l’industria.
Sempre nell’ambito di questa vicenda, c’è da registrare l’incidente occorso a un portavoce di Facebook, che rispondendo a una email del sito BuzzFeed News ha definito il registro dei musulmani di Trump “a straw man”, cioè un fantoccio, uno spaventapasseri. Facebook non ha commentato l’accaduto e il diretto interessato ha precisato che si trattava di una affermazione non ufficiale, ovvero personale. La petizione dei lavoratori della Silicon Valley, alla quale può aderire qualunque loro collega, dimostra che l’iniziativa che potrebbe prendere l’amministrazione Trump viene considerata invece piuttosto seriamente.
Pierluigi Sandonnini