Milano – È una delle nazioni a più alto tasso di tecnologia , e anche questa volta non si smentisce: Singapore ha annunciato una modifica alle proprie leggi che prevede dal 1 gennaio 2017 la raccolta delle immagini delle iridi dei propri cittadini (e dei residenti con status permanente), così da migliorare l’efficenza delle procedure di riconoscimento in caso di passaggio alle frontiere o in qualunque caso ciò si rendesse necessario.
La procedura di raccolta delle scansioni dell’iride avverrà in apposite postazioni realizzate allo scopo, e procederà gradualmente : ogni qual volta sarà richiesto un documento o un certificato che richieda l’indentificazione si procederà con la registrazione dei nuovi dati biometrici . Il dato si andrà a sommare a quello delle fotografie digitali e alla raccolta delle impronte digitali già effettuata in precedenza: le ragioni dietro questa decisione sono essenzialmente legate alla sicurezza e alla inaffidabilità, a questo punto, degli attuali sistemi di identificazione biometrica adottati.
L’obiettivo di Singapore, almeno nelle dichiarazioni dei politici , è di velocizzare soprattutto le procedure di accesso al paese ai controlli alle frontiere : la scarsa qualità del sistema che abbina riconoscimento automatico del viso e delle impronte digitali rallenta il processo, e impedisce persino ad alcuni cittadini di usare i varchi elettronici dovendo ripiegare sulla più lenta e lunga fila dei varchi presidiati da esseri umani.
Le impronte digitali e il viso possono cambiare nel tempo, per comune invecchiamento o per altre cause (le dita possono essere oggetto di incidenti, decisamente più frequenti che per altri del corpo), mentre le iridi sono un dato che mantiene una certa costanza nel tempo : utilizzare questo sistema , quindi, dovrebbe garantire maggiore efficacia ai controlli e all’identificazione alle frontiere (e non solo). Il meccanismo di raccolta inoltre non è invasivo: si tratta di prestarsi a una semplice fotografia, grazie ai progressi fatti dai sensori che oggi vengono montati anche da dispositivi consumer come il Surface Pro 4 di Microsoft.
Restano sul tappeto le solite discussioni che spesso si riaffacciano in queste occasioni. Dalla schedatura di massa alla sicurezza garantita dai controlli biometrici, fino a un dilemma fondamentale: le impronte digitali o le iridi, qualunque sia il parametro scelto per l’identificazione, devono equivalere a una user-ID o alla password? Fino a oggi è questa seconda ipotesi ad essere andata per la maggiore, ma con l’adozione a livello nazionale (Singapore è solo l’ultima a compiere questo passaggio: l’India ha milioni di iridi già schedate , tanto per fare un nome) della biometria per l’identificazione potrebbe ribaltarsi la questione .
Luca Annunziata