Dopo essere ricorsi alle torture nei confronti dei manifestanti riluttanti a fornire le proprie password di accesso a Facebook, le autorità della Siria hanno iniziato a postare commenti in proprio favore sulle pagine in blu dei dissidenti.
Secondo i resoconti, le autorità del paese mediorientale sarebbero riuscite a impossessarsi , rubandole o estorcendole con la forza, delle chiavi di accesso agli account delle persone arrestate .
Ci si chiede da più parti il motivo per il quale il governo guidato da Bashar al-Assad sia ricorso a dei simili espedienti. La domanda è: davvero si crede che scelte del genere possano sortire gli effetti sperati? Appare dubbio che post filogovernativi comparsi sulle pagine degli oppositori possano risultare credibili.
Tuttavia, le maglie della censura siriana sono talmente strette da non limitarsi semplicemente al controllo di Facebook. Le forze di polizia, infatti, di muovono su molteplici fronti, incluso il blocco delle reti 3G , che impedisce il caricamento dei video girati in strada durante le proteste. Inoltre , i sostenitori di Bashar al-Assad, riuniti nel Syrian Electronic Army , starebbero usando gli stessi strumenti per screditare i dissidenti.
Come notano gli osservatori, a differenza del caso egiziano , che ha segnato lo switch off totale della Rete, il governo siriano avrebbe adottato un comportamento strategico , procedendo al taglio della corrente elettrica e delle linee telefoniche solo in alcuni quartieri. “Stanno usando queste tattiche per eliminare la comunicazione tra le persone”, dichiara Radwan Ziadeh, Direttore del Damascus Center for Human Rights Studies . Quest’ultimo ha testimoniato in prima persona il gioco condotto dalle autorità, dopo aver visto apparire sulla pagina Facebook di un suo amico dissidente messaggi filogovernativi.
Per Ammar Abudlhamid, siriano “esiliato” nel Maryland, l’unico canale per accedere alle informazioni reali è il giornalismo di strada . Senza telefonini, telecamere e laptop non avremmo saputo nulla, dichiara Abudlhamid. Tuttavia se piattaforme come Facebook si sono rivelate uno spazio di mobilitazione significativo in occasione delle proteste scoppiate in Tunisia, Egitto e Siria, non c’è dubbio che abbiano prodotto ulteriori rischi per i manifestanti . In Siria, infatti, il social network per eccellenza conta circa 580mila iscritti, in aumento del 105 per cento dopo il blocco imposto dal governo qualche mese fa.
Ma, come testimoniano gli ultimi fatti accaduti, possedere un account Facebook potrebbe essere causa di grossi pericoli.
Cristina Sciannamblo