Basta progettare un sito web attenendosi a principi estetici rassicuranti per convincere gli utenti a snocciolare tutti i propri dati personali. Lo ha rivelato Privacy and Self-Disclosure Online , un progetto che ha analizzato, con metodo e rigore scientifici, le dissonanze fra i valori dichiarati dai netizen e i comportamenti che assumono online.
Realizzato dall’ Economic and Social Research Council , istituto che sovvenziona ricerche e studi sociali , è il primo nel suo genere: “Per la prima volta abbiamo ricerche i cui risultati dicono ciò che fa la gente online, piuttosto che ciò che dice di fare “, ha spiegato Adam Joinson, che ha condotto lo studio.
L’analisi solleva attenzione perché rinfresca un interrogativo mai completamente sopito, quello di capire in quali condizioni le persone mantengano alto il livello di difesa dalle minacce alla propria privacy online. “Persino coloro che, in precedenza, hanno dimostrato di saper essere attenti alla privacy online, accetteranno di metterla a rischio se hanno fiducia in chi riceverà le informazioni personali”, chiosa Joinson. La sua prima conclusione è tutt’altro che tranquillizzante: in pratica, se si ha fiducia nel sito, in qualche modo si è disposti a lasciare che si calpesti quel che fino a un minuto prima si avocava come un inviolabile diritto .
Il 56 per cento degli utenti Internet dice di essere preoccupato per la privacy quando si trova online. Il punto focale, illustra Physorg , è capire quali aspetti grafici o terminologici siano in grado di rendere un sito particolarmente affidabile agli occhi degli utenti, innescando il meccanismo della concessione di fiducia extra . Quando un sito è disegnato per essere affidabile, la gente accetta che si attenti alla propria privacy, mentre le stesse violazioni tentate da un sito non ritenuto affidabile – o, meglio, che non si presenta con elementi che lo facciano ritenere tale – allertano i netizen e li fanno comportare in modo molto più circospetto.
“Uno degli aspetti più interessanti delle nostre conclusioni”, dice Joinson, “è che anche le persone ritenute abitualmente attente alla questione privacy, nel momento in cui vengono a contatto di un particolare set di condizioni, agiscono in modo contrario rispetto alle abitudini esibite in precedenza”. Una questione a metà tra content design e analisi sociologica del comportamento, con implicazioni ad ampio spettro.
Molti servizi, oggigiorno, richiedono – per le ragioni più diverse – di rivelare dei dati personali. Secondo questa ricerca, le modalità con cui un utente valuta l’affidabilità di un sito risultano determinanti per il successo del servizio offerto.
Da un lato, dunque, non fare tesoro di quanto emerge dal lavoro del gruppo potrebbe portare al fallimento anche di un’iniziativa di Stato, di un sito istituzionale che chieda tutti i dati personali al (solo) fine di realizzare, ad esempio, un documento di identità: qualora non fosse progettato tenendo conto del set di condizioni in grado di far scattare la fiducia extra, potrebbe essere impiegato malvolentieri dal cittadino.
Dall’altro lato, a nulla varrebbe coniare complicate normative a tutela della privacy se gli utenti decidono di consegnare i propri dati. Al di là delle leggi, sembrano pronti a trovare in ogni caso il modo di farlo se ciò porterà un vantaggio, o l’uso “gratuito” di un servizio.
Marco Valerio Principato