Skype è stata chiamata in causa in Belgio in seguito al suo rifiuto di far accedere le autorità locali alle chiamate effettuate dai due suoi utenti al centro di un’indagine.
Il servizio VoIP acquisito da Microsoft è stato coinvolto a causa di un’inchiesta avviata nel 2012: in quella occasione le autorità locali hanno chiesto che consegnasse i dati relativi alle comunicazioni effettuate da due sospettati. Il rifiuto opposto da Skype, che ha riferito di non essere un operatore telefonico e quindi di non rientrare nella relativa normativa, l’ha portato ora in tribunale.
Il Belgio si sta dimostrando particolarmente attivo nel perseguire i comportamenti più o meno legali degli operatori stranieri dell’ICT: nei mesi scorsi , per esempio, una commissione ha preso in mano la questione della riforma delle policy in maniera di privacy di Facbeook con l’idea di farle le pulci. Una motivazione quasi in antitesi a quella che ha portato ora alla sbarra il servizio VoIP, che in un certo senso si è distinto per la difesa dei dati dei suoi utenti nonostante il rischio di essere multato per una somma fino a 24mila euro.
Oltre che sulla questione in sé e sugli obblighi imposti agli operatori di settore di passare alle autorità le informazioni legate ai propri utenti e alle loro conversazioni, il caso sollevato in Belgio si giocherà sull’interpretazione del ruolo e della natura del servizio VoIP, di fatto trattato come un qualsiasi operatore delle comunicazioni. Skype, d’altra parte, ha contestato esattamente tale ipotesi: se non costituisce un operatore telefonico allora non ha nessuno degli obblighi di condivisione dei dati dei propri utenti previsti dalla normativa belga in caso di indagine. E la causa mossa nei suoi confronti non avrebbe ragione di esistere.
L’archiviazione del contenzioso, peraltro, potrebbe passare dalla valutazione della giurisdizione, questione sollevata da Microsoft per il caso belga in un modo che ricorda la battaglia che Redmond sta combattendo con le autorità statunitensi: sarà la giustizia belga a valutare se le autorità locali possano o meno obbligare alla cooperazione un’azienda con sede all’estero, in Lussemburgo.
Claudio Tamburrino