Il termine “smart mobility” e le sue declinazioni di “car sharing” e “car pooling” sono giunte ad un punto di maturità tali per cui occorre mettere in discussione gli assunti del concetto se lo si intende far evolvere davvero. Una ricerca sul traffico di San Francisco, infatti, sembra minare alla base le prerogative che hanno trasformato il car sharing in una soluzione percorribile, gettando un velo di punti interrogativi sul reale impatto che gruppi quali Uber o Lyft hanno con il tessuto urbano della città.
Il dubbio è quello per cui non solo i servizi di auto in condivisione non siano positivamente impattanti sul traffico cittadino, ma addirittura potrebbero aver avuto negli ultimi anni un effetto deleterio sulla congestione delle strade. A tali conclusioni si giunge a seguito di una analisi INRIX, studio basato sull'”activity-based travel demand microsimulation model“. Le modalità della ricerca sono importanti poiché nel tempo vari studi si sono trovati in disaccordo sull’analisi del traffico e spesso le ricerche data-driven si sono dovute arrestare di fronte alla scarsità di dati disponibili. Solo chi ha una propria flotta sulle strade può ottenere informazioni più precise, ma al tempo stesso tali dati rappresentano un prezioso tesoretto che nessuno vuol condividere con le municipalità. Ne consegue una situazione poco trasparente, difficilmente intellegibile e per la quale occorre affidarsi a piccoli indizi da cui ricavare grandi conclusioni.
Nella fattispecie la ricerca si è basata sulla posizione delle auto dei servizi di car pooling e su altre informazioni ricabili dalle API dei differenti servizi: un monitoraggio lungo svariati mesi che ha permesso di ricavare un altissimo numero di dati. Di qui se ne è ricavato un modello dal quale è possibile dedurre quante auto siano in circolazione, dove e per quanto tempo. I dati ottenuti indicano come, secondo quanto pubblicato su Science Advances, tra il 2010 e il 2016 la congestione del traffico sarebbe aumentata del 60% e le velocità di percorrenza notevolmente diminuite. Insomma: più vetture per la strada in un dato momento, maggior tempo speso nel traffico e maggior danno relativo per l’ambiente e per la produttività. Un terzo di questo aumento sarebbe dovuto a circostanze estranee (aumento della popolazione, differenziazione dei flussi di traffico e altre variabili), ma i due terzi sarebbero causati proprio dai servizi di condivisione delle vetture.
Se i dati fossero confermati, in una metropoli come San Francisco le prospettive della smart mobility potrebbero rivelarsi fasulle o quantomeno da approfondire, costringendo municipalità e aziende a riconsiderare reciprocamente i rapporti in atto. I grandi gruppo stanno nel frattempo ricalibrando le proprie offerte, introducendo mezzi ulteriori al fianco delle automobili così da ridurre l’impatto del servizio sulla città (sia in termini di traffico che di emissioni). La condivisione dei dati e la relativa analisi potrebbero sgombrare il campo da ogni dubbio, analizzando i servizi di car pooling in modo più puntuale ed offrendo alle città un alleato in più. In caso contrario si rischia una semplice concorrenza ai mezzi pubblici, rendendo la mobilità meno “smart”.