Negli ultimi mesi, complice e causa la pandemia di Covid-19, si è sentito parlare più insistentemente anche in Italia di smart working. Sia nelle aziende che nella pubblica amministrazione si sta sempre più diffondendo, ma non tutti conoscono il vero significato del termine e soprattutto la normativa italiana che disciplina il fenomeno.
In questo approfondimento andremo a tracciare una panoramica completa ed esaustiva relativa allo smart working. Vedremo in particolare come la legislazione nazionale si pone nei confronti di questa nuova modalità di lavoro, il significato di questa formula inglese e le varie regole a cui devono attenersi lavoratore e datore di lavoro nell’esercizio dell’attività di smartworking.
Infine, crediamo sia molto utile porre l’accento sulla differenza tra smart working e telelavoro, due modalità con punti in comune ma estremamente diverse.
Prenditi dunque qualche minuto di tempo libero: siamo sicuri che, una volta terminata la lettura, avrai un quadro più chiaro. Ma bando agli indugi, partiamo!
Smart working significato
Iniziamo in primis con il significato di smart working. In italiano si traduce letteralmente “lavoro intelligente“, ma a darne una definizione più completa ci ha pensato l’Osservatorio del Politecnico di Milano. Quest’ultimo lo definisce come “una nuova filosofia manageriale fondata sulla restituzione alle persone di flessibilità e autonomia nella scelta degli spazi, degli orari e degli strumenti da utilizzare a fronte di una maggiore responsabilizzazione sui risultati“.
Prendiamo anche in prestito le parole di Emanuele Madini, Associate Partner di P41-Partners4Innovation ed esperto di Smart Working ed HR Transformation: “Lo Smart Working è un modello organizzativo che interviene nel rapporto tra individuo e azienda. Propone autonomia nelle modalità di lavoro a fronte del raggiungimento dei risultati e presuppone il ripensamento “intelligente” delle modalità con cui si svolgono le attività lavorative anche all’interno degli spazi aziendali, rimuovendo vincoli e modelli inadeguati legati a concetti di postazione fissa, open space e ufficio singolo che mal si sposano con i principi di personalizzazione, flessibilità e virtualità“.
Anche il Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali si è espresso a riguardo: “Lo Smart Working (o Lavoro Agile) è una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato caratterizzato dall’assenza di vincoli orari o spaziali e un’organizzazione per fasi, cicli e obiettivi, stabilita mediante accordo tra dipendente e datore di lavoro; una modalità che aiuta il lavoratore a conciliare i tempi di vita e lavoro e, al contempo, favorire la crescita della sua produttività“.
Una volta lette queste dichiarazioni importanti e chiarificatrici, viene da porre subito una domanda: a che punto è l’Italia? Lo smart working non significa solo ripensare il welfare aziendale e l’equilibrio lavoro-vita: impone un vero e proprio processo culturale, che richiede un adeguamento dei modelli organizzativi sociali e aziendali. In questo senso bisogna in primo luogo capire come lo smart working è normato nel nostro paese.
Smart working normativa in Italia
Per quanto concerne la normativa smart working in Italia, solitamente quest’ultimo è disciplinato dalla legge 81/2017, pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 22 maggio dello stesso anno, ed entrata in vigore ufficialmente il 14 giugno 2017. Detto anche lavoro agile, lo smart working viene configurato come una modalità alternativa di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato, stabilita mediante accordo scritto tra le parti.
Non avendo precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, questa tipologia di prestazione lavorativa è svincolata da un luogo fisico obbligatorio dove svolgere l’attività, dal rispetto di un determinato orario di lavoro e da un controllo diretto da parte del datore di lavoro. In ogni caso, lo smart working può concretizzarsi entro i soli limiti di durata massima dell’orario di lavoro.
Detto questo, la suddetta legge rimette all’accordo individuale tra le parti la determinazione delle condizioni specifiche di lavoro nell’ambito dell’attività prestata in smart working. L’accordo in questione può essere a tempo determinato o indeterminato: nel primo caso, il recesso potrà avvenire prima della scadenza del termine fissato dalle parti (e solo in presenza di un motivo giustificato), mentre nel secondo si potrà risolvere tramite comunicazione con preavviso non inferiore a 30 giorni (c’è la possibilità di una risoluzione immediata in caso di motivo giustificato).
Smart working semplificato, come risposta all’emergenza
Come abbiamo visto in regime ordinario, quindi senza stato di emergenza, lo smart working risponde alle regole della legge 81/2017 secondo cui si può procedere con l’attivazione del lavoro agile solo a fronte di un accordo tra datore di lavore e dipendente e di comunicazione al Ministero.
Con l’attuale stato di emergenza l’articolo 90 del Decreto legge n. 34/2020 specifica che la modalità di lavoro agile può essere applicata dai datori di lavoro privati a ogni rapporto di lavoro subordinato anche in assenza degli accordi individuali, ovvero utilizzando la procedura “semplificata” attualmente in uso, e ciò sino alla fine dello stato di emergenza.
Al momento, lo stato di emergenza è fissato fino al 31 gennaio 2021, le modalità di lavoro agile restano quindi quelle previste dall’art. 90, commi 3 e 4, del D.L. 19 maggio 2020, n. 34, convertito dalla legge n. 77 del 17 luglio 2020.
Regole per il lavoratore
Nonostante il lavoratore non svolga la propria attività in azienda, ha innanzitutto l’obbligo di portare a termine gli obiettivi prefissati nell’accordo firmato insieme al datore di lavoro.
Oltre a ciò, il dipendente è obbligato a custodire con diligenza gli strumenti tecnologici messi a disposizione dal datore di lavoro, è responsabile della riservatezza dei dati cui può accedere e deve cooperare per attuare le misure di prevenzione predisposte dal datore stesso per limitare i rischi legati all’esecuzione della prestazione all’esterno dei locali aziendali.
Come dicevamo, la produttività è il caposaldo dello smart working: il “lavoro da casa” non è assolutamente meno impegnativo di quello svolto in azienda, ma il lavoratore è molto più responsabilizzato, perchè può gestirsi in maniera autonoma. Non può distrarsi inutilmente o ingiustificatamente se esiste un orario di lavoro (arco temporale in cui deve essere sempre disponibile e reperibile).
Quest’ultima affermazione cozza con quello che dovrebbe essere l’essenza dello smart working, che però in Italia è per prassi nella maggior parte dei casi ancora attuato secondo precisi orari di lavoro. In realtà, come vedremo più nel dettaglio all’interno dell’ultimo paragrafo, il concetto di tempo non dovrebbe proprio esistere in un rapporto di lavoro impostato con questa modalità.
Retribuzione
A livello di retribuzione, un dipendente in smart working ha gli stessi diritti di un impiegato che lavora all’interno degli uffici aziendali. A stabilirlo è sempre la legge numero 81 del 2017. In sostanza, essa prevede pari tutele e garanzie per i lavoratori in smart working: a parità di mansioni, il lavoratore in smart working ha diritto a percepire la stessa retribuzione di quello che svolge la sua prestazione lavorativa in maniera tradizionale.
Il problema però sorge con gli straordinari, nel senso che il lavoratore in smart working non può svolgerli: non sono previste forme di retribuzione aggiuntiva, dal momento che è esclusa la possibilità che il dipendente possa svolgere lavoro straordinario o supplementare in orari notturni o in giorni festivi.
Orari
Di per sè lo smart working funziona senza limiti di orario di alcun tipo: ovviamente deve avvenire nel rispetto dei limiti di durata massima del lavoro giornaliero e settimanale previsti dalla legge e dal CCNL applicato. E senza gli straordinari, come accennavamo prima.
Nell’accordo tra le parti però spesso vengono inserite delle condizioni in cui viene stabilita la reperibilità in determinate ore della giornata lavorativa, oppure anche veri e propri orari di lavoro.
È auspicabile che questa prassi venga superata con il tempo, perchè uno smart working impostato con orari di lavoro assomiglia più ad un telelavoro.
Il diritto alla disconnessione
Altro punto molto importante regolamentato dal comma 1 dell’articolo 19 l.81/2017: quest’ultimo dispone che “(…) l’accordo individui tempi di riposo del lavoratore nonché le misure tecniche e organizzative necessarie per assicurare la disconnessione del lavoratore dalle strumentazioni tecnologiche di lavoro”. Dunque, il lavoratore deve essere libero di disattivare le strumentazioni tecnlogiche e le piattaforme informatiche di lavoro.
Il diritto alla disconnessione è stato regolamentato dal CCNL per i Quadri direttivi e per il personale delle aree professionali dipendenti dalle imprese creditizie, finanziarie e strumentali. Il documento è stato rinnovato con accordo siglato a dicembre 2019, e dispone che l’utilizzo degli strumenti di lavoro deve avvenire nel rispetto della prestazione lavorativa.
I tempi di riposo e le misure tecniche ed organizzative per la disattivazione dei dispositivi elettronici devono essere contenuti all’interno dell’accordo individuale. In ogni caso, il lavoratore può disattivare i propri dispositivi di connessione per evitare la ricezione di comunicazioni aziendali oltre l’orario di lavoro o nei periodi di assenza legittimati.
La disciplina del diritto alla disconnessione ha assunto grande rilevanza anche e soprattutto in relazione al tecnostress, cioè la sindrome/malattia professionale (riconosciuta tale dalla Procura del Tribunale di Torino nel 2007) che colpisce l’individuo a cui viene demandata la gestione di forme di conoscenze complesse e il flusso di informazioni offerto dalle nuove tecnologie.
Regole per il datore di lavoro
Sempre secondo la legge che abbiamo menzionato diverse volte nelle righe precedenti, anche (e soprattutto) il datore di lavoro ha degli obblighi da assolvere e più in generale delle regole a cui attenersi. Egli in primo luogo deve retribuire il lavoratore non più sulla base dell’orario di lavoro, ma in funzione dell’obiettivo lavorativo.
Lo smart working, come abbiamo già avuto modo di vedere, ha un approccio completamente diverso rispetto a quello del lavoro tradizionale: il lavoro agile non guarda agli orari e al luogo di lavoro, ma semplicemente al risultato. Il tutto in maniera molto autonoma, flessibile e collaborativa.
Detto questo, il datore di lavoro non può stabilire una retribuzione diversa da quella prevista nei confronti dei lavoratori che svolgono le stesse mansioni all’interno dell’azienda. Questo in base al principio di non discriminazione. Inoltre, gli incentivi fiscali sono applicabili anche quando l’attività lavorativa sia prestata in regime di smart working.
Infine, il datore di lavoro è responsabile della sicurezza e del buon funzionamento degli strumenti tecnologici dati al dipendente per lo svolgimento dell’attività lavorativa.
Smart Working pubblica amministrazione
Quando si parla di smart working pubblica amministrazione, ci si riferisce al decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento della Funzione Pubblica, del 19 ottobre 2020, in cui sono state pubblicate le “Misure per il lavoro agile nella pubblica amministrazione nel periodo emergenziale“.
Il provvedimento si applica a tutte le amministrazioni indicate all’art. 1, comma 2, del D.Lgs. n. 165/2001. Il provvedimento prevede che, sino al 31 dicembre 2020, per accedere al lavoro agile nell’ambito delle Pubbliche Amministrazioni non è richiesto l’accordo individuale di cui alla l. 81/2017.
Ogni dirigente della PA deve organizzare il proprio ufficio in modo tale da assicurare lo svolgimento dello smart working su base giornaliera, settimanale o plurisettimanale ad almeno il 50% del personale preposto alle attività che possono essere svolte con tale modalità. Deve essere assicurata la rotazione del persone così da assicurare un’alternanza equilibrata dell’attività in modalità agile e in presenza.
Le riunioni devono svolgersi in modalità a distanza, salvo l’esistenza di motivate ragioni. Viene inoltre previsto che si debba adottare ogni soluzione utile ad assicurare lo svolgimento dell’attività in smart working per tutti i lavoratori fragili e per tutti i lavoratori di cui all’art. 21 bis, commi 1 e 2, del D.L. n. 104/2020 (c.d. Decreto Agosto).
Gli svantaggi dello Smart Working
Il cosiddetto lavoro agile non è però tutto rose e fiori: possono essere diversi gli svantaggi dello smart working, come ad esempio la reperibilità continua (cosa che però non deve essere permessa), e soprattutto il rischio che il lavoro si confonda con la propria vita privata.
Diciamo che in generale chi non riesce ad organizzare il proprio lavoro in maniera ordinata e razionale, spesso si ritrova impantanato in dinamiche sbagliate. Nello smart working non ci sono orari da rispettare, e quindi può accadere che molto spesso si accolgano amici o parenti in casa mentre si lavora. Di conseguenza, si lascia tutto ciò che si stava facendo per poi riprenderlo successivamente con una concentrazione minore, o – peggio – ricominciando tutto da capo.
In sintesi dunque, gli svantaggi dello smart working potrebbero essere:
- Lavorare di più
- Confusione tra lavoro e casa
- Distrazioni continue
Questo per quanto riguarda la produttività, ma c’è un’ulteriore svantaggio che alcuni potrebbero vivere male: la mancanza di interazione con i colleghi. La solitudine durante il lavoro potrebbe rappresentare un fattore di negatività per il lavoratore, che potrebbe anche sviluppare delle vere e proprie patologie.
Telelavoro e Smart Working: che differenza c’è?
Prima di concludere la nostra guida vogliamo darti un quadro delle differenze tra telelavoro e smart working. In alcuni casi, i due termini sono stati erroneamente intesi come sinonimi, a volte il primo come traduzione del secondo. Tuttavia, si tratta di interpretazioni completamente errate, dal momento che la legislazione italiana ha tradotto “smart working” in “lavoro agile”.
Per la verità stiamo parlando di due forme di lavoro diverse, con differenze che riguardano principalmente la sedi di lavoro e l’orario lavorativo. Per chiarire le differenze tra queste due differenti modalità lavorative è necessario andare ad analizzare le caratteristiche di ciascuno.
A differenza di ciò che accade nello smart working, nel telelavoro il lavoratore ha una postazione fissa che però non è quella dell’azienda. Il telelavoro poi è più rigido anche dal punto di vista temporale: gli orari sono previsti e inquadrati, e di fatto sono esattamente quelli adottati per il personale che svolge le stesse attività all’interno dell’azienda.
Il telelavoro è una categoria contrattuale che tuttavia continua a dar vita a logiche di controllo da parte dell’azienda: non sono ai livelli di quelle dell’ufficio, ma devi dichiarare dove lavori ad esempio. In concreto, si sposta lo spazio di lavoro in un altro ambiente, poi però il rapporto continua ad essere estremamente regolato e vincolato.
Lo smart working invece è un’evoluzione perchè rende più flessibile nei confronti della persona la gestione dello spazio e del tempo di lavoro. Puoi lavorare dove vuoi (basta che siano rispettate le condizioni di sicurezza e privacy) e quando vuoi (il rapporto tra capo e collaboratore nello smart working è basato sul risultato, non sul controllo). Va da sè che le persone sono più responsabilizzate nei confronti dell’obiettivo che devono raggiungere.
Nello smart working, o meglio nell’ideale di smart working che in Italia a volte fatica a concretizzarsi, si tolgono i due pilastri fondamentali del rapporto di lavoro tradizionale: spazio e tempo. Essi vengono sostituiti da altri due principi cardine: autoconsapevolezza e responsabilizzazione dell’individuo da un lato, dall’altro la smartleadership.
Se c’è uno smartleader in grado di dare fiducia alle persone/lavoratori e che le riesce a mettere in condizione di portare alla realizzazione del proprio obiettivo e del loro output finale, lo smartworking funziona eccome. Senza questi due pilastri sostitutivi, il soffitto cade.
Ci sono elementi che accomunano smart working e telelavoro, come ad esempio l’accordo scritto delle parti – lavoratore e datore di lavoro – che vada ad indicare i dettagli del rapporto. Tra i punti in comune, c’è sicuramente l’utilizzo delle tecnologie che rendono possibile il lavoro da remoto e l’utilizzo della connessione ad Internet.
Entrambi poi condividono un aspetto ulteriore: la limitazione degli spostamenti, che spesso si traducono anche in inquinamento e traffico. Ovviamente in questo periodo pandemico telelavoro e smart working consentono di limitare il contagio da coronavirus, non sospendendo l’attività lavorativa e quindi non incidendo sul piano economico.