Un recente report firmato Boston Consulting (“Decoding Global Ways of Working“) offre una nuova e più approfondita prospettiva sull’impatto che la pandemia ha avuto nei confronti dei lavoratori che hanno passato in remoto questi mesi di operatività. I numeri dicono che l’89% dei lavoratori vorrebbe in futuro poter avere, almeno occasionalmente, un lavoro svincolato dall’ufficio; la sensazione è che ci sia però qualcosa di più profondo in questo desiderio, qualcosa di afferente alla libertà.
Quel che i lavoratori chiedono, infatti, è la flessibilità.
Decoding Global Ways of Working
L’indagine Boston Consulting, estesa a 209.000 partecipanti in 190 paesi di tutto il mondo, evidenzia come gran parte dei lavoratori esprima un chiaro favore nei confronti dello smart working, ben più elevato rispetto a quanto non si evidenziasse prima della pandemia. Difficile comprendere i motivi esatti: in parte si tratta probabilmente di un desiderio represso che il lavoro forzato da remoto ha fatto emergere, in parte si tratta di una novità che molti hanno assaggiato per la prima volta soltanto in questi mesi. L’effetto è però stato dirompente: oggi la possibilità di poter svolgere almeno parzialmente il lavoro da remoto è visto come un benefit dalla gran parte dei lavoratori.
Al tempo stesso, sono pochi coloro i quali vorrebbero una conversione completa delle proprie modalità lavorative: solo una risicata minoranza della forza lavoro si dice disponibile ad un home working completo, senza più ritorno in ufficio (con questa preferenza espressa soprattutto nei paesi meno sviluppati). La via di mezzo è dunque la più ambita, probabilmente vista come una soluzione in grado tanto di svincolare dagli obblighi dell’ufficio, quanto di slegare dalle responsabilità casalinghe. Una via meno alienante, fatta di elasticità di orario e di possibilità di scelta, senza rinunciare a quanto di buono può offrire anche il tempo fuori casa.
Flessibilità e mobilità
Il Sole24Ore rileva inoltre come l’avvento dello smart working e della maggior possibilità di lavorare da remoto abbia aperto nuove opportunità, visto che i talenti possono essere ingaggiati anche all’estero e la competizione sulle migliori risorse può farsi globale.
Il Covid ha accentuato un fenomeno già avviato e ha favorito la transizione verso una nuova forma di mobilità fondata su una modulazione del telelavoro, che rappresenta una nuova opportunità anche per le società, da impiegare, però, con attenzione.
Matteo Radice, managing director e partner di Bcg
I problemi anche in questo caso non mancano: si tratta infatti di un quadro non perfettamente normato ed omogeneo, dunque tutele e contrattualistica non sono ancora utili a delineare un contesto sufficientemente strutturato e garante. Lo sarà in prospettiva, soprattutto sotto l’egida dell’Unione Europea, ma servirà una maggior standardizzazione per far sì che i lavoratori possano essere adeguatamente tutelati ed ambiti da e verso ogni Paese. Ciò potrebbe consentire anche maggiori possibilità di ricollocamento e mobilità, purché il tutto avvenga entro un perimetro che non potrà essere lasciato troppo a lungo in preda alla deregulation.
Lo smart working è di fatto il nuovo elefante che corre nel corridoio delle aziende: impossibile far finta che nulla sia successo, perché i piani di rilancio post-pandemia dovranno necessariamente fare i conti con questa nuova opportunità senza che se ne ignorino né i rischi, né le immense potenzialità.