Altro che fannulloni: secondo una indagine Kaspersky l’avvento dello smart working di massa in conseguenza della pandemia ha tradotto questo cambio di modalità operativa in carichi di lavoro più alti rispetto a quelli da ufficio. Una risultanza controdeduttiva? Semmai, una ulteriore elaborazione di un cambiamento che è tutto fuorché strutturale, ma soprattutto è cresciuto in un’area di deregulation che necessiterà di interventi meno maldestri di quelli vissuti in periodo emergenziale.
L’indagine Kaspersky è stata condotta su un panel di 4303 dipendenti IT in Italia: il 47% spiega di aver registrato un aumento della mole di lavoro in carico, mentre il 16% spiega di aver registrato addirittura un aumento molto significativo. Solo il 9% degli intervistati ritiene di aver lavorato meno rispetto a quanto non facesse in tempo di “normalità”.
Smart working, carichi di lavoro e benessere
Tuttavia tali carichi sarebbero stati ben assorbiti grazie al maggior equilibrio che l’home working garantisce alla vita quotidiana:
Nonostante dal sondaggio sia emerso che in smart working più della metà dei dipendenti italiani abbia sperimentato un aumento del carico di lavoro, il 66% ha dichiarato che quando lavora da casa si sente meno stanco alla fine di una giornata. Il 31% ha riferito di avere addirittura più energia. Per quanto riguarda la stabilità emotiva, il lavoro a distanza è stato ben accolto dagli italiani: il 61% dichiara di non aver notato un aumento dell’ansia dovuto agli straordinari, mentre il 32% degli intervistati si sente addirittura più a suo agio a lavorare da casa. La ragione potrebbe risiedere nel fatto che lavorare da remoto consente uno stile di vita più equilibrato: si evitano i lunghi spostamenti, è più facile portare avanti degli hobby e trascorrere più tempo con i propri cari. Questo ha consentito di migliorare il benessere degli italiani e la salute generale.
In pochi mesi si è passati dunque dallo scetticismo dei primi passi in questa nuova dimensione del lavoro, alla soddisfazione per i risultati conseguiti. I prossimi mesi saranno all’insegna dello scontro tra chi vorrebbe tornare alla situazione pregressa e chi vorrebbe invece metabolizzare lo smart working nella legislazione nazionale, rendendolo (sotto forma di “lavoro ibrido”) un modo canonico di operare in azienda.
Lo smart working va inteso anche in un’ottica ulteriore. Secondo Kaspersky, infatti, gli sforzi delle aziende in tema di benessere dei lavoratori al fine di aggirare ogni rischio di burnout debbono giocoforza passare per questa nuova sfida: “I datori di lavoro devono affrontare i problemi alla base del burnout in modo sistematico, considerando non solo il carico di lavoro dei dipendenti ma anche l’equilibrio tra controllo e domanda, nonché le pratiche di gestione, prevedibilità, supporto sociale, ridistribuzione del lavoro,
etc. Tutti i fattori devono essere tenuti in considerazione“.
Una cosa è certa: lo smart working è un elemento che porta fuori asse gli equilibri antecedenti, consentendo a qualcuno di nascondersi e ad altri di liberare nuove energie. Non si tratta di promuoverlo o bocciarlo a prescindere, ma di trovarne la giusta collocazione all’interno del mix di soluzioni adottate in azienda. La finalità ultima, del resto, è la produzione nel contesto di un ambiente salubre e tale da consentire la miglior espressione possibile delle potenzialità dei singoli.