L’arrivo improvviso della pandemia ha spinto l’adozione dello smart working come misura necessaria a non fermare la produttività, laddove possibile. Oggi, a quasi due anni di distanza da quel terribile marzo 2020, è possibile guardare con cauto ottimismo al futuro. Che ne sarà del lavoro agile una volta lasciata alle spalle l’emergenza? La scadenza, almeno dal punto di vista formale, è fissata nel 31 marzo 2022.
Il nuovo smart working ha bisogno di regole
Per un biennio abbiamo più volte descritto lo scenario venutosi a creare come la nuova normalità, sottolineando come alcune modalità di collaborazione da remoto sperimentate durante la crisi sanitaria siano destinate a divenire strutturali. Sarebbe altrimenti un’occasione persa, considerando come i vantaggi si siano spesso manifestati per entrambe le parti in gioco: l’azienda e il dipendente. La più tipica delle situazioni win-win.
Occorre però stabilire delle regole, fissare dei paletti, pur senza esagerare e complicare il quadro, per evitare che il gap normativo possa mostrare il fianco ad abusi o distorsioni. Partiamo da un dato numerico: quanti lavoratori, in Italia, saranno ancora alle prese con lo smart working dall’1 aprile? Oltre quattro milioni, secondo la stima fornita da Repubblica.
Costi, benefici e responsabilità
La stretta attualità dice che per il lavoratore, paradossalmente, oggi collaborare da casa conviene meno rispetto all’inizio della pandemia. Il motivo è da ricercare in primis nel caro bollette, che porta la spesa dei consumi quotidiani a gravare interamente sulle spalle del dipendente. Ci sono aziende che hanno previsto una sorta di rimborso o indennizzo per dividerne il peso. Lo stesso vale per l’acquisto dei dispositivi necessari a svolgere le mansioni o per il costo della connettività. Si tratta però di accordi stipulati su base volontaria. Un altro aspetto che andrà normato.
Dal canto suo, l’azienda è nella posizione di pretendere che i compiti assolti a distanza siano portati a termine in modo efficiente, al pari di quanto avverrebbe in ufficio. Dopotutto, chi etichetta lo smart working come un assist a porta vuota per i fannulloni non ha motivo di farvi ricorso non avendone comprese le potenzialità.
Da definire in modo chiaro, inoltre, l’attribuzione delle responsabilità in caso di problemi e incidenti legati alla sicurezza. Considerando gli attacchi sempre più frequenti e la gestione di informazioni riservate in transito attraverso reti private, chi risponde in caso di compromissione?
Parola d’ordine: semplificazione
È attesa una presa di posizione sul tema da parte del Ministero del Lavoro, forse già a breve con un intervento sul Sostegni-ter. L’obiettivo è anzitutto quello di mantenere operativa la semplificazione adottata nell’ultimo periodo per quanto concerne le comunicazioni con il dicastero, a livello burocratico.
Sarà al tempo stesso necessario non forzare la mano, tenendo in considerazione le difficoltà quasi inevitabilmente incontrate da chi ancora non è riuscito a rivedere i propri processi per favorire un passaggio almeno parziale e graduale al lavoro agile. Si tratta spesso di aziende di piccole o medie dimensioni, che non hanno voluto (o potuto) far fronte agli investimenti necessari, sia economicamente sia in termini di formazione, risorse e competenze.
Una strada percorribile è quella che passa dall’adozione di una formula ibrida, già sperimentata da qualcuno, con un’alternanza tra giorni trascorsi in sede e altri da casa.
Prima delle norme, il cambiamento culturale
Normative e linee guida non potranno favorire la potenziale innovazione se non saranno accompagnate da quello che può essere definito un cambiamento culturale. Valutare l’impegno del lavoratore non più esclusivamente sulle base delle ore trascorse, ma per gli obiettivi raggiunti, rappresenta forse lo step più importante di questo percorso.
Andrà altresì tutelato il cosiddetto diritto alla disconnessione (come invocato tra gli altri dal Parlamento Europeo), per evitare che la sovrapposizione tra il luogo in cui si svolgono le proprie mansioni professionali e quello in cui si manifesta la vita privata possa tradursi in una disponibilità 24/7. Il rischio burnout è concreto.