Snap, la società che gestisce il servizio di messaggistica Snapchat, sta per sbarcare alla Borsa di Wall Street. Un IPO (Initial Public Offering, o offerta pubblica iniziale) che si annuncia come la più eclatante dopo quella di Alibaba, nel 2014, e di Twitter nel 2013. L’obiettivo di Snap è quello di raccogliere 3 miliardi di dollari, per arrivare a una valutazione di 25 miliardi di dollari.
Nella documentazione depositata presso la SEC, Snap descrive se stessa come una società di “fotocamere” e che “reinventarle è la maggiore opportunità per migliorare le modalità in cui la gente vive e comunica”. I dati dichiarati parlano di 158 milioni di utenti quotidiani attivi al quarto trimestre del 2016, in aumento del 48 per cento rispetto all’anno precedente. Le entrate sono cresciute di circa sette volte, raggiungendo 404,5 milioni nel 2016 rispetto ai 58,7 milioni del 2015. Tuttavia, Snap è ancora in forte perdita: il passivo netto dell’ultimo anno è stato superiore alle vendite: 514,6 milioni, rispetto a 372,89 milioni del 2015.
Di questa passività, nel documento non si fa mistero: “Abbiamo subito una perdita operativa in passato, ci aspettiamo di incorrere in una perdita operativa nel futuro e potremmo non raggiungere mai o mantenere la redditività” si legge. La crescita, però, c’è: nel quarto trimestre i ricavi medi per utente sono stati di 1,05 dollari contro i 31 centesimi dello stesso periodo del 2015. Siamo ancora lontani, però, dai 7 dollari per utente di Facebook. “La nostra raccolta pubblicitaria è ancora giovane ma sta crescendo rapidamente” si legge ancora nella documentazione presentata da Snap a novembre, ma resa nota solo ora in virtù delle regole che esonerano le aziende con meno di un miliardo di dollari di ricavi dall’obbligo di comunicazioni pubbliche (JOBS Act).
Quella di Snap sarà la prima IPO senza emissione di azioni con diritti di voto. Ciò significa che, anche dopo la quotazione in Borsa, Evan Spiegel e Bobby Murphy, rispettivamente amministratore delegato e direttore tecnologico di Snap, manterranno il controllo della società. I due avranno la stessa quota, pari a 5,5 miliardi di dollari in controvalore. “Creando e distribuendo azioni senza diritto di voto in una IPO, Snap sta facendo qualcosa che non si è mai visto finora” ha commentato il professore della Harvard Law School, Jesse Fried. “Dopo la IPO, Snap potrà distribuire altre azioni senza diritto di voto ai dipendenti o altri soggetti senza erodere i diritti di controllo dei fondatori”.
L’uso di classi multiple di voto è già stato sfruttato da tycoon dei media, come Rupert Murdoch con News Corp, la famiglia Ochs-Sulzberger con il New York Times e Sumner Redstone con CBS e Viacom. Una strategia necessaria a proteggere l’indipendenza editoriale e la libertà espressiva dei colossi della comunicazione.
Snap è stata fondata nel 2011 nell’università di Stanford e si è rapidamente trasformata in un fenomeno sociale. Snapchat ha conquistato la generazione dei cosiddetti “millennials”, nati fra il 1980 e il 2000, soprattutto in virtù di una delle sue più celebri funzioni con i messaggi che scompaiono da soli entro 24 ore. Lo affermano i fondatori della società nel prospetto informativo per gli investitori: “Quando abbiamo iniziato, molti non capivano cosa fosse Snapchat, dicevano che serviva solo per il sexting, ma noi sapevamo che poteva essere usata per molto di più”.
Spiegel e Murphy incontreranno gli investitori nelle prossime settimane, mentre a occuparsi della quotazione sarà una cordata di grandi banche: Morgan Stanley, Goldman Sachs, JP Morgan, Deutsche Bank, Barclays, Credit Suisse e Allen & Co.
Pierluigi Sandonnini