Abusare dei social network può portare le giovani menti alla depressione: questo è quanto emerso da un recente studio effettuato da alcuni psicologi statunitensi che hanno tentato di stabilire una relazione tra l’utilizzo intensivo di aggregatori sociali frequentati soprattutto da teenager e le possibili conseguenze.
Lo studio è stato effettuato dalla dottoressa Joanne Davila, docente di psicologia presso la Stony Brook University di New York ed è stato suddiviso in due parti: nella prima parte la dottoressa ha intervistato 83 ragazzine di età media intorno ai 13 anni, chiedendo loro quanto tempo dedicassero nell’arco della giornata a comunicare via Internet con i loro amici riguardo ai loro primi batticuori, alle prime vicende affettive. La seconda fase è avvenuta ad un anno di distanza: in una nuova seduta la dottoressa ha valutato gli eventuali progressi, sottoponendo poi le teenager ai consueti test volti a determinare la presenza di eventuali sintomi depressivi.
Dai risultati dello studio, secondo la dottoressa Davila, sembrerebbe emergere una stretta relazione tra l’aumentare del tempo passato a discutere dei propri problemi su Internet e l’aumentare del rischio di cadere in depressione. Il tutto sarebbe amplificato poi dal massiccio diffondersi di piattaforme di social network come Facebook, senza dimenticare i blog e l’instant messaging.
“C’è così tanta tecnologia a disposizione dei teenager di oggi che viene utilizzata per comunicare all’infinito sugli stessi problemi emotivi. E tutto ciò può far crescere in loro uno stato di ansia che può portare alla depressione. Abbiamo deciso di iniziare a comprendere il processo partendo dall’inizio per poi seguirli e vedere cosa sarebbe successo” dichiara la dottoressa a capo della ricerca. “Parlare molto può essere utile solo se le persone coinvolte hanno delle spiccate capacità di problem-solving, poiché ciò le aiuta a trovare una soluzione e nel contempo rafforza i legami di amicizia”. La ricerca ribadisce quanto sostenuto in uno studio analogo dalla dottoressa Amanda J. Rose della University of Missouri.
Da tutto ciò emergerebbe un nuovo tipo di comportamento, il cui nome scientifico lascia ben poco all’immaginazione: gli scienziati parlano di co-rumination . Di ruminazione collaborativa.
Vincenzo Gentile