Sembrava un giorno come tanti per Tamás Müller, addetto marketing della filiale ungherese di Vodafone. Ed un giorno come tanti lo era per davvero, almeno finché il nostro non ebbe la malnata idea di postare su Twitter un commento sarcastico riguardo il breakdown tecnico di una società concorrente. Fu proprio da quel cinguettio che cominciarono i suoi guai: nel volgere di poche ore l’azienda sbeffeggiata fece richiesta di pubbliche scuse, i superiori di Müller presero ufficialmente le distanze dal suo atto “non autorizzato e inopportuno” e, per chiudere definitivamente la faccenda, decisero bene di licenziarlo in tronco .
Leggerezza individuale? Eccesso di zelo da parte del management? Forse c’è un poco di entrambi gli ingredienti nella vicenda appena raccontata. Ma al di là del folklore, la storia di Müller testimonia bene di un problema ricorrente per le organizzazioni contemporanee: il problema di comprendere adeguatamente – e governare – i flussi di comunicazione associati ai social network. Si tratta di una difficoltà ben documentata in tutte le ricerche sull’argomento: l’indagine condotta a fine 2009 da Robert Half Technology racconta ad esempio come il 55 per cento delle aziende USA continui a bloccare in toto l’accesso alle principali piattaforme social mentre un altro studio di Manpower evidenzia il ritardo culturale dei manager rispetto alla rete sociale ed alle sue potenzialità.
Le aziende, si legge, faticano a calarsi nelle logiche dei nuovi spazi ed esprimono diversi timori rispetto al loro impiego da parte dei dipendenti. Temono una caduta della produttività individuale, anzitutto, ma esprimono preoccupazione anche rispetto alla possibilità di danni alla reputazione aziendale o alla dispersione di informazioni interne riservate.
Questo il quadro a livello globale. E in Italia? A sentire Vincenzo Cosenza, direttore di Digital PR Roma e analista di fama internazionale , la situazione nel nostro paese è per molti versi simile a quella raffigurata dalle indagini globali. “Almeno a livello di grandi aziende, i top manager sono ormai consapevoli dell’importanza dei social network e anche del loro utilizzo da parte dei dipendenti durante l’orario di lavoro”. Salvo che, aggiunge subito dopo, “nella maggior parte dei casi alla consapevolezza non segue una fase di scelta strategica sulle azioni da prendere”.
Diversi dirigenti, suggerisce Cosenza, sono consapevoli ma inconseguenti. Poi però ci sono anche gli altri, quelli che ci provano. E allora può capitare di scoprire, ad esempio, come l’organigramma ENEL preveda ormai da anni una posizione formalizzata di “social media manager”, e come l’azienda che si occupa d’energia stia investendo robustamente sull’impiego del social sia entro che oltre il perimetro aziendale. “Poco più di sei mesi fa” spiega la responsabile della Comunicazione Interna Cristina Milano “abbiamo varato ENEL Sharing, un marchio che contraddistingue la nostra presenza su social media come Facebook, Twitter, Flickr e YouTube”.
La ragion d’essere del circuito, spiega Milano, è riconducibile a due funzioni fondamentali: da una parte si tratta di “offrire alla Rete tutti i contenuti – presentazioni, ricerche di mercato, analisi – generati dai colleghi che interagiscono con l’esterno”; dall’altra di migliorare i processi di comunicazione e collaborazione interna tra gli 85mila dipendenti che lavorano per ENEL in 23 diversi paesi. È parte di questo sforzo anche l’approntamento di un set di linee guida dedicate , pensate per accompagnare gli operatori nella loro interazione nella rete sociale.
“Il documento di policy”, argomenta ancora la responsabile, “è caratterizzato da un approccio aperto che non impedisce l’accesso ai siti, ma suggerisce di fatto una serie di consigli e comportamenti consapevoli, responsabili e di autotutela, in coerenza con i preesistenti strumenti di regolamentazione aziendale”. Già, le linee guida. Gli studi internazionali sono concordi nel sottolineare l’importanza dei codici interni di autoregolamentazione per la crescita di consapevolezza “social” in azienda.
Ancora Cosenza: “Quello che alcuni dirigenti non capiscono è che una policy per l’uso dei social media, oltre ad essere un segno di trasparenza, è davvero utile ad evitare che i dipendenti commettano errori grossolani, dovuti all’ignoranza delle grammatiche di questi strumenti”. Ed è proprio sul fronte della creazione di linee guida ad hoc che si sta muovendo anche un altro grande gruppo industriale europeo, Renault Automobiles. Uno dei dirigenti dell’Ufficio Comunicazione del gruppo, contattato da Punto Informatico , conferma non solo l’avvio di diversi progetti pilota in ambito social – a partire dai temi “caldi” della Formula 1 e delle auto elettriche – ma anche (e soprattutto) la volontà di presidiare i nuovi canali con un approccio consapevole ed attento.
“Il nostro gruppo si sta affacciando ai nuovi canali con un approccio prudente: vogliamo che i nostri dipendenti possano partecipare alla conversazione, ma anche che ricordino con precisione i loro diritti e i loro doveri quando parlano di Renault”. Per questo, spiega il manager, si stanno preparando a livello di gruppo delle linee di policy in grado di offrire indicazioni certe rispetto a questioni come la possibilità di criticare l’azienda, la necessità o meno di qualificarsi come dipendenti quando si parla del brand, o ancora la facoltà per i dirigenti di parlare a nome dell’intera corporation .
Nelle parole dell’interlocutore appaiono molto chiari anche gli obiettivi da perseguire attraverso l’impiego dei social network: “Attraverso le nuove iniziative” spiega, “intendiamo coinvolgere sempre di più fan e partner nella definizione dei prodotti e servizi aziendali, ma soprattutto connettere tra loro i dipendenti Renault impiegando le reti sociali esistenti, giacché non avrebbe senso sprecare energie per crearne di ulteriori”.
Le testimonianze di ENEL e Renault lasciano intravvedere alcune delle potenzialità collegate ad un impiego consapevole delle piattaforme sociali entro il perimetro aziendale. Tuttavia, come visto sopra, la maggior parte delle organizzazioni appaiono irretite e spaventate di fronte ad un’innovazione che faticano a governare, con la conseguenza che a prevalere è ancor oggi un approccio immobilista e scarsamente lungimirante.
E in futuro? Secondo Cosenza i ritmi del cambiamento saranno dettati soprattutto dall’intensità delle spinte ambientali nei confronti delle corporation : “Sono poche le aziende che decidono di aprirsi per convinzione del top management, e credo che anche in futuro il grado di apertura dipenderà soprattutto dal grado di pressione esterna, culturale ed economica”. A questo punto, come cittadini e abitatori della Rete, c’è solo da sperare che il pressing ambientale si faccia ogni giorno più forte, e le aziende possano una volta per tutte abbandonare il catenaccio a favore del gioco d’attacco. Per scoprire d’incanto che i dipendenti “social” possono essere i migliori ambasciatori dell’organizzazione nel mondo là fuori.
a cura di Giovanni Arata