Nella giornata di ieri ha fatto rumore il blocco di una nuova pagina su Facebook, ancora una volta in qualche modo legata a temi politici, per molti versi di segno opposto alle pagine già anzitempo chiuse sul social network di Mark Zuckerberg. A pochi giorni dalla chiusura di molte pagine legate a Forza Nuova e Casapound, infatti, è stata in questo caso la volta della pagina satirica “Socialisti Gaudenti” (180 mila follower).
Sebbene in questo fatto ci siano aspetti interessanti intrecciati ad aspetti che sollevano più di un dubbio, non bisogna però confondere le questioni per eccesso di semplificazione: il percorso che ha portato al ban definitivo di FN e Casapound non ha nulla a che vedere con il “cartellino giallo” che ha ricevuto la pagina “Socialisti Gaudenti”: diverse motivazioni, diverso risultato.
Facebook banna Socialisti Gaudenti
La spiegazione dell’accaduto è tutta nel post della pagina stessa, subito dopo la riammissione al social network e subito prima dell’ironico ringraziamento a De Michelis per la santa intercessione:
Come forse avrete notato, Facebook ci ha chiuso per tutto il pomeriggio a causa di alcuni post che prendevano in giro un gruppo neofascista che ha la tartaruga come simbolo e per aver pensato che i nostri sfottò nei confronti della suddetta organizzazione, tra cui il nostro augurio di buon 25 Aprile, fossero delle dichiarazioni di sostegno nei loro confronti. Post del 2015 e del 2017, oltre ad una dichiarazione di Tajani, allora presidente del parlamento europeo che diceva che “Lui ha fatto anche cose buone”. Il ban per una dichiarazione del Presidente del Parlamento è abbastastanza surreale pure per una commedia di Ionesco.
Vi ringraziamo tutti per la solidarietà, è stato tipo assistere al nostro funerale ma da vivi (ora sappiamo cosa ha provato Matteo Renzi il 4 dicembre 2016).
Il nostro caso è abbastanza assurdo ed è stato risolto in qualche ora (qui sotto trovate le scuse dell’azienda) anche grazie al caso mediatico che ha scatenato (ci auguriamo che anche le altre pagine che hanno subito lo stesso torto possano tornare online), però è abbastanza emblematico di come sia un metodo fallace quello di far decidere ad un algoritmo – che ha una trasparenza prossima allo zero – in maniera retroattiva di cosa si può discutere in rete.
Dare il potere di censura ad una corporation semi-monopolistisca senza alcun controllo di un ente terzo solleva potenziali dubbi su come esso possa diventare in futuro (in realtà già nel presente) un problema per il pluralismo online.
P.S.: grazie a tutti, sia per la solidarietà sia per il clamore mediatico che ha aiutato a risolvere “il problema”.
Del dovere di Facebook di monitorare le proprie pagine, nonostante la fallacia degli algoritmi e dell’impossibile carico di lavoro per un controllo di natura umana, abbiamo già detto. Della difficoltà di delineare un regolamento che duri nel tempo, abbiamo già parlato (semmai sarà utile parlarne nuovamente in occasione di Internet Festival 2019, quando in discussione ci saranno proprio “Le regole del gioco”). In questo caso l’aspetto più interessante è invece nell’azione retroattiva del ban, andando a spulciare post del passato in cerca di potenziali violazioni: ban retroattivi che hanno poco senso di esistere, poiché qualsiasi post andrebbe giudicato nel momento in cui lo si pubblica e non certo a distanza di tempo, quando proprio il tempo e le circostanze potrebbero mandare fuori binario parole o giudizi espressi in passato.
Il caso in sé, benché per certi versi clamoroso, conferma tuttavia che il tribunale di Facebook (pur nella sua scarsa trasparenza e nel suo macchinoso interventismo) funziona: l’errore è stato riconosciuto e la pagina è stata ripristinata. Altrove, ove le minacce andavano oltre qualche post di dubbio gusto, il ban è invece rimasto. Sulla sempre più evidente sfumatura tra diritto e policy private, invece, ci sarà da discutere ancor molto: Facebook è una nazione troppo grande e ingombrante per essere ignorata da questioni di tale importanza.