Software originale, la Cassazione dà un'opportunità

Software originale, la Cassazione dà un'opportunità

Ne parla un attento osservatore della normativa sul diritto d'autore partendo dall'approfondimento pubblicato su Punto Informatico nei giorni scorsi. Una sentenza importante, scrive, per iniziare a cambiare le cose
Ne parla un attento osservatore della normativa sul diritto d'autore partendo dall'approfondimento pubblicato su Punto Informatico nei giorni scorsi. Una sentenza importante, scrive, per iniziare a cambiare le cose

dalla lista di PiratPartiet.it con il consenso dell’autore pubblichiamo un intervento sulla sentenza della Corte di Cassazione in materia di software originale e diritto d’autore

Il segretario ci ha lodevolmente segnalato alcuni pezzi concernenti i nostri temi. Uno di questi su una sentenza della Cassazione ( punto-informatico.it/pi.asp?id=1905855 del dr. Andrea D’Agostini) mi pare dovrebbe interessarci parecchio per la notizia in sé, soprattutto se ribaltiamo nella sostanza le conclusioni del commentatore (almeno per chi pensa che la legge per il diritto di autore debba essere resa meno automaticamente vincolante).

La Corte di Cassazione (I sez.Civile, sentenza 581 del 12 gennaio scorso) ha stabilito, secondo l’esame fattone dal dr. D’Agostini, che basta un minimo apporto creativo basato anche su conoscenze di programmi già in circolazione perché un software sia un’opera creativa dell’ingegno protetta dalla legge sul diritto d’autore. Questa conclusione lascia interdetto il commentatore, anche perché la consulenza tecnica aveva riconosciuto che i due software oggetto del giudizio erano pressoché identici: “Tutti i prodotti software che risolvono la stessa esigenza applicativa presentano un’architettura di base che è comune alla maggior parte dei sistemi di controllo dei processi industriali, ma ciò non impedisce di individuare la specificità di un singolo prodotto, in quanto l’innovazione risiede nella capacità di adattare l’architettura applicativa al caso ed all’ambiente tecnologico specifico”. Ma allora, argomenta il Dr. D’Agostini, basta applicare una variante di tali operazioni o a un ambiente tecnologico specifico, e il software è comunque un’opera dell’ingegno diversa da quella originale.

Personalmente, non solo non ci trovo nulla di strano, ma credo anzi che si tratti di una strada da sviluppare per rivedere alcune interpretazioni/applicazioni del diritto di autore troppo bloccanti e, per questo, troppo favorevoli alla fase di intermediazione del prodotto piuttosto che alla sua creazione.

Infatti sono convinto si debba partire dal principio che l’inalienabile diritto alla libertà della ricerca scientifica, debba accompagnarsi alla non brevettabilità della conoscenza astratta che ne può derivare (inclusi algoritmi, formule matematiche etc.) e al diritto di avvalersi in condizioni di equità delle procedure e degli strumenti messi a punto durante la stessa ricerca. Questo già significa che in tale ambito ogni contrattualizzazione deve trovare il suo modo di essere e le sue regole solo in quello che essa stessa indica e pattuisce, perché non può mettersi al riparo dell’appellarsi ad una inesistente protezione proprietaria del prodotto intellettuale di conoscenza astratta. Il software, poi, costituisce un’applicazione specifica. Dunque, a meno di esclusioni di uso espressamente pattuite tra chi lo fornisce e chi lo usa, anche una lieve modifica nell’applicazione (specie da parte della stessa ditta fornitrice) costituisce appunto un’opera dell’ingegno diversa da quella originale e su di essa si applica un’altra diversa tutela della Legge.

A questo si aggiunge che il cittadino, almeno come tendenza, deve poter esercitare il diritto di accedere alla conoscenza e alla cultura disponibili nel momento storico, per cui dei prodotti di software resi pubblici possono essere sottoposti a vincoli di utilizzo solo per determinate applicazioni di carattere commerciale e comunque per brevi periodi di tempo ragionevoli rispetto a tutti gli interessi coinvolti e allo stato della tecnologia. Ma nel momento in cui viene apportata anche una modifica circoscritta, quei prodotti divengono obiettivamente un’altra cosa, più o meno lontana dalla famiglia originale, ma comunque tali da costituire un prodotto diverso per il quale riparte ex novo il ciclo del pubblico utilizzo.

Non per caso il Dr. D’Agostini chiude il suo commento chiedendosi: “la stessa legge del diritto d’autore proprio a proposito di “frasi”, tutela dalla copia indebita l’opera letteraria anche quando presenta una parola differente rispetto a quella utilizzata nel periodo originario: perché il concetto dovrebbe essere diverso per il software?”. Questa domanda un po’ attonita fa appunto risaltare il valore della sentenza che è come un tarlo nel meccanismo della legge sul diritto di autore (anche se a mio parere va detto che il cambiare una frase in un romanzo e in un programma software paiono lo stesso concetto solo da un punto di vista formale, perché in sostanza sono una cosa ben diversa quanto agli effetti).

Insomma, la 581/2007, Sezione I, è un passo avanti non irrilevante dal punto di vista di chi intende procedere sulla strada di modificare la 633/1941, quanto meno a partire dalle interpretazioni messe in giro dagli ultras della SIAE. I prodotti intellettuali sono meno bloccati e possono muoversi più liberamente. Come deve essere nelle cose della vita.

ram

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Pubblicato il
27 feb 2007
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