Dopo anni di crescita costante, la quantità di software proprietario installato illegalmente in Italia inizia a scendere, calando di due punti percentuali nel 2006 rispetto all’anno precedente. Ad affermarlo è Business Software Alliance , l’alleanza dei produttori di software closed source che, come ogni anno, ha delegato a IDC le rilevazioni per il proprio Rapporto annuale. Uno studio che anche quest’anno si limita ad analizzare l’uso del software su PC, desktop, laptop e palmari, non invece su server, mainframe ed altre piattaforme.
In Italia, dunque, il tasso di pirateria sul software proprietario è oggi del 51 per cento , il che significa che ancora più di un software closed su due installato nel Belpaese è utilizzato in modo illegale, senza licenza o senza rispettare i termini di licenza.
Tutto questo, come sempre, viene considerato dai produttori di settore alla stregua di una perdita : in questo caso quello che in realtà è un mancato profitto si è ridotto nel 2006 a quota 1.038 milioni di euro contro gli 1.157 registrati nel 2005. Dati che, naturalmente, sono basati sui prezzi di listino dei software, ovvero su quanto avrebbero guadagnato i produttori qualora tutti gli utenti di software illegale avessero pagato regolarmente le loro licenze.
Questo calo fa sì che l’Italia, pur considerata malissimo dagli USA per quanto riguarda la protezione della proprietà intellettuale, rientri nella tendenza europea ad una progressiva riduzione dell’uso illegale del software. Una tendenza che viene avvertita persino nei paesi dell’Est europeo , dove il mercato ICT non ha ancora raggiunto il valore di quello dell’Europa occidentale ma va crescendo rapidamente. In quell’area il tasso medio di pirateria nel 2006 viene stimato al 68 per cento, con un calo di un punto percentuale rispetto al 2005. Dati che, spiega BSA, “bilanciano parzialmente gli elevati tassi d’incremento del mercato ICT in quei Paesi di più recente industrializzazione” e che rappresentano un primo successo “nella lotta alla dilagante illegalità”.
Nel complesso, le “perdite” stimate da BSA in Europa ammonterebbero a oltre 8 miliardi di euro , in calo di 700 milioni di euro rispetto al 2005. Le proiezioni IDC stimano vendite di software proprietario nei prossimi 4 anni in Europa per 250 miliardi di euro e secondo BSA, ai tassi attuali di pirateria e sviluppo del mercato, “ciò significherebbe perdere oltre 133 miliardi di euro in termini di mancati volumi d’affari per l’industria informatica, con le ovvie ricadute sui sistemi fiscali nazionali e sulle potenzialità occupazionali del settore”.
“Il dato tendenziale è positivo – ha spiegato Luca Marinelli, Presidente di BSA Italia – specie per il nostro Paese, l’unico nell’Europa occidentale ed economicamente sviluppato ad avere tassi di pirateria quasi balcanici. Ma molto resta ancora da fare, perché abbiamo pur sempre un 51 per cento di software illegalmente utilizzato: insomma, più di un programma su due installati sui PC del Belpaese è privo di regolare licenza. Dobbiamo continuare a lavorare perché l’impegno a favore della legalità veda schierati insieme mondo aziendale, mondo associativo e mondo politico-istituzionale”.
BSA ha colto l’occasione del Rapporto 2006 anche per criticare IPRED2 , la controversa direttiva europea sulla pirateria ormai in dirittura d’arrivo. Secondo BSA, infatti, IPRED2 “pur con l’obiettivo di armonizzare le legislazioni nazionali europee, rischia di introdurre di fatto la depenalizzazione dello “scopo di profitto” (ossia, risparmiare sul prezzo d’acquisto) implicito in chi si procura software pirata, a patto che poi non lo commercializzi (ossia, non lo rivenda ad altri per trarne lucro)”.
Secondo Simona Lavagnini, consigliere legale di BSA Italia, “depenalizzando lo scopo di profitto , il Parlamento Europeo rischierebbe di rendere ancora più difficile l’istruzione di processi per reati contro la proprietà intellettuale creando un’isola d’impunità di fatto , oltre che di offrire una sponda a quei gruppi che operano al vertice della piramide della pirateria digitale e online – spesso più per fini di provocazione e autopubblicità che per reali intenti di profitto – ma che causano comunque ingenti danni economici all’industria informatica, diffondendo virus e altre forme di codici dannosi”.
Il danno per l’industria di settore, secondo BSA, è tanto più grande considerando che proprio Internet, come noto al centro della direttiva, soprattutto con la diffusione del broad band viene considerato ormai come “il principale canale distributivo di software illegale, mentre nelle economie emergenti sono ancora preferiti i CD-rom contraffatti (ma presto anch’essi seguiranno la strada del web)”.
L’intero studio è disponibile a questo indirizzo .