Era facile prevedere che il caso Virgin v. Thomas , il primo in cui l’accusa di download e condivisione illegali dell’industria musicale contro una cittadina americana sia approdata al processo vero e proprio, avrebbe riservato un buon numero di sorprese. Cosa che è puntualmente avvenuta con la testimonianza di Jennifer Pariser, responsabile della sezione antipirateria di Sony BMG, che ha letteralmente tacciato di furto milioni di consumatori , colpevoli a suo dire di togliere il pane di bocca alla major ogni volta che creano la copia di un mp3, legale o meno che sia.
Appena iniziato, il processo acquista subito le caratteristiche di un potenziale caso spartiacque, tirando in ballo concetti come il fair use e il diritto alla copia di sicurezza dei propri originali. E nonostante il ricco catalogo di iTunes e i timidi tentativi di sperimentazione con la distribuzione di musica online, le major dimostrano di avere ancora a cuore lo strapotere di mercato gelosamente custodito fino all’avvento della rivoluzione della rete .
“È mia convinzione personale che Sony BMG sia ora la metà di quello che era nel 2000” a causa della pirateria, si lamenta Pariser, che accusa il “furto” di mp3 e il file sharing di mettere a repentaglio la stessa esistenza dell’etichetta , visto che le sue uniche fonti di guadagno sono appunto i CD-Audio e i brani originali. Non dunque un prevedibile cambio di abitudini, consumi e conoscenze degli utenti ma semplicemente un massivo atto di ladroneria.
Per Pariser “rubare musica” è un concetto decisamente onnicomprensivo: incalzata dal legale dell’accusa Richard Gabriel, la manager sostiene che anche solo una singola copia di un file legale può essere considerata un vero e proprio furto ai danni di Sony . “Quando un individuo crea personalmente la copia di una canzone, suppongo che possiamo dire che abbia rubato quella canzone”, sostiene Pariser, e fare una singola copia di un brano acquistato è solo “una maniera gentile di dire rubare solo una copia “.
Per Sony dunque nulla si salva: iTunes, Windows Media Player e gli innumerevoli software disponibili con la capacità integrata di rippare i CD-Audio, gli utenti di iPod che si procurano la musica per vie traverse e ovviamente i cattivi pirati del P2P, tutti contribuiscono ad affamare le povere major sull’orlo della bancarotta a causa della replicabilità infinita insita nei contenuti in formato digitale.
L’accusa è determinata a dimostrare la colpevolezza di Jammie Thomas, 30enne accusata di aver condiviso 1.702 brani illegalmente, e per questo ha chiamato a testimoniare esperti di informatica per corroborare le proprie tesi. L’avvocato difensore sostiene al contrario l’innocenza della donna – madre di due bambini – e dice che non ci sono prove certe che quei brani siano mai stati resi disponibili online dall’accusata . L’utilizzo di un router wireless, argomenta Brian Toder, avrebbe potuto rendere la connessione facilmente accessibile all’esterno dell’abitazione, invalidando quindi il collegamento diretto dell’indirizzo IP scovato dai segugi delle major all’effettivo operato della donna.
Tesi confutata dall’accusa, che mostra sullo schermo posto davanti alla giuria i log delle connessioni e mette in evidenza quelle che a dire dei legali incastrerebbero Jammie Thomas. C’è poi la vicenda dell’hard disk del PC sostituito dalla donna nel 2005, a suo dire dietro consiglio del personale della catena Best Buy dopo alcuni malfunzionamenti, ma che per le major risulta essere un mero tentativo di coprire le tracce del “delitto” dopo aver ricevuto messaggi concernenti la condivisione non autorizzata.
Alfonso Maruccia