I dati tracimano dallo squarcio che i cracker di Guardians of Peace (#GOP) hanno aperto nei sistemi di Sony Pictures: dei 100 TB di dati che gli attaccanti dichiarano di possedere, sono stati esposti 235 GB, tra succosi dettagli che riguardano lo star system e l’ industria dell’intrattenimento e dati personali di dipendenti coinvolti loro malgrado.
L’ultima tornata di rivelazioni formato email, che investe fra l’altro le operazioni commerciali messe in campo da Snapchat, si è accompagnata a una minaccia affatto velata: il team di GOP promette ondate di terrore e attacchi che dovrebbero ricordare l’11 settembre presso le sale in cui verrà proiettato The Interview , presunto casus belli del crack, commedia che, per gli argomenti affrontati, ha fatto emergere i sospetti degli inquirenti sull’origine nordcoreana degli aggressori. Se il Department of Homeland Security non sembra spaventato , Sony, che già si era consultata con le autorità statunitensi in tempi non sospetti con l’obiettivo di non turbare le relazioni con la Corea del Nord in occasione del film, ha scelto di ridimensionare la risonanza del lancio dell’opera e di concedere ai cinema la libertà di annullare le proiezioni.
E se i danni per Sony si misureranno non tanto al botteghino quanto nei 100 milioni di dollari necessari , secondo le stime degli analisti, a ripristinare i propri sistemi e a mettere in campo opportune misure di sicurezza, altre potenziali disfatte per lo studio cinematografico potrebbero derivare dal furore dei propri dipendenti e ex dipendenti, che si stanno muovendo a suon di denunce.
Sono due i fronti che si stanno muovendo contro Sony Pictures. C’è il fronte degli ex dipendenti, rappresentato da tali Michael Corona, in Sony Pictures dal 2004 al 2007, e Christina Mathis, che ha lavorato per l’azienda dal 2000 al 2002: in una denuncia depositata nelle scorse ore, che ha l’ambizione di diventare una class action, lamentano la negligenza dello studio nel gestire le pratiche di cybersicurezza: Sony sarebbe stata a conoscenza delle minacce che pendevano sul proprio network, ma non avrebbe adottato alcuna contromisura per proteggere i propri sistemi e le informazioni confidenziali che riguardano i propri dipendenti e i propri ex-dipendenti. Lo studio si sarebbe mosso per arginare le condivisioni illegali dei propri film in Rete, ma non avrebbe fatto altrettanto per proteggere i dati dei 15mila dipendenti colpiti. Per questo si chiedono danni, ancora da calcolare. L’ altra denuncia è invece originata da due ex-direttori di produzione, Susan Dukow e Yvonne Yaconelli: si scagliano contro Sony per la fuga dei dati personali e per le falle nei suoi sistemi di sicurezza, ma anche per le politiche di mercato adottate dallo studio cinematografico, che avrebbe scelto di sostenere la realizzazione di The Interveiew nonostante i rischi che ciò avrebbe potuto comportare.
Gli osservatori prevedono che altre denunce, anche provenienti dal mondo dello star system, potrebbero colpire Sony Pictures per le informazioni affiorate dal vaso di Pandora della breccia: la casa cinematografica potrebbe doversi preparare a sborsare decine di milioni di dollari di danni. Nel caso della violazione di PlayStation Network, nel 2011, Sony ha rimborsato i propri utenti vittime dell’attacco con 15 milioni di dollari.
Gaia Bottà