Sorvegliare o non sorvegliare, questo è il dilemma

Sorvegliare o non sorvegliare, questo è il dilemma

di G. Scorza - Il Tribunale di Roma ha deciso: YouTube dovrà rimuovere i video del Grande Fratello e dovrà prevenire le future violazioni. L'intermediario si deve fare carico di vigilare sulla tutela del diritto d'autore?
di G. Scorza - Il Tribunale di Roma ha deciso: YouTube dovrà rimuovere i video del Grande Fratello e dovrà prevenire le future violazioni. L'intermediario si deve fare carico di vigilare sulla tutela del diritto d'autore?

Il Tribunale di Roma con un provvedimento dello scorso 12 febbraio ha confermato la decisione con la quale, poco prima di Natale, nell’ambito di un procedimento cautelare in corso di causa promosso da RTI, aveva ordinato a Google di rimuovere da YouTube tutti i video del Grande Fratello 10 pubblicati e, soprattutto, di non consentire la pubblicazione di ulteriori video.

Secondo RTI il Tribunale di Roma avrebbe fissato un principio che “diventa patrimonio di tutti gli editori e che potrà essere applicato nei confronti di ogni sito web che viola la proprietà dei diritti altrui”: “contrariamente a quanto avveniva finora, da oggi solo chi investe in contenuti ha il diritto di sfruttarli economicamente anche online attraverso la raccolta pubblicitaria o altre fonti di ricavo. Ne consegue – continua RTI nel suo comunicato – e l’ordinanza lo stabilisce espressamente, che gli oneri tecnologici per ottenere il rispetto di tale diritto non possono essere a carico di chi ne è titolare. “Da oggi – conclude RTI – si apre quindi una nuova era per tutti gli editori italiani che potranno stringere rapporti economici con gli operatori internet, ognuno nel rispettivo ruolo, sulla base di un nuovo contesto di regole chiare e definite”.

RTI, in effetti, nel proprio comunicato esalta e sopravvaluta il contenuto dell’Ordinanza resa dal Tribunale di Roma che, a ben vedere, per quanto autorevole, per un verso non preclude che altri giudici, nei prossimi mesi, interpretino in modo diverso la disciplina della materia e, per altro verso, non “stabilisce espressamente che gli oneri tecnologici” per inibire la pubblicazione di ulteriori contenuti debbano far carico al gestore della piattaforma ma si limita a demandare tale decisione ad altro procedimento.

È, tuttavia, innegabile che la duplice decisione del Tribunale di Roma nel caso Mediaset-YouTube rappresenti una pietra miliare nella giurisprudenza italiana in materia di responsabilità degli intermediari nella comunicazione e contribuisca a dare un’ulteriore “spallata” – dopo quelle dei casi Bakeka e The Pirate Bay – al principio dell’assenza dell’obbligo generale di sorveglianza degli intermediari della comunicazione.
Il Tribunale di Roma, infatti – specie nell’ultima ordinanza resa in sede di reclamo – riconosce che su YouTube viene svolta un’attività di web hosting e, dunque, di intermediario della comunicazione alla quale occorre applicare la disciplina sul commercio elettronico. Così come ammette che tale disciplina preclude di porre a carico degli intermediari della comunicazione un obbligo generale di sorveglianza ma, ad un tempo, ritiene che inibire all’intermediario di pubblicare, anche in futuro, contenuti analoghi a quelli oggetto del provvedimento di rimozione non violi tale principio.

Sotto tale profilo la decisione apre innegabilmente scenari inquietanti che trascendono il singolo caso e rischiano di condurre – se le orme segnate dal Tribunale di Roma dovessero essere seguite da altri Giudici – ad una sostanziale disapplicazione, o addirittura quasi-abrogazione, di uno dei capisaldi della disciplina europea sul commercio elettronico: l’assenza di un obbligo generale di sorveglianza degli intermediari.

È infatti evidente che Google, gestore della piattaforma YouTube, da domani, per scongiurare il rischio che sulle proprie pagine vengano pubblicati ulteriori contenuti analoghi a quelli oggetto del procedimento cautelare appena conclusosi, non potrà che sorvegliare i contenuti immessi in Rete dai propri utenti in maniera, appunto, “generale”.
Si tratta di una conclusione che non convince e che appare “elusiva” rispetto al principio comunitario: non si ordina di sorvegliare ma si obbliga, per il futuro, a non pubblicare nella piena consapevolezza che ciò ha per presupposto una sorveglianza preventiva.

Nessuna norma dell’ordinamento italiano, tuttavia, sembra legittimare un’inibitoria di portata tanto ampia da abbracciare la pubblicazione di opere individuate solo nel genere sia nel presente che nel futuro.
Lo stesso art. 156 della legge sul diritto d’autore, posto da RTI a fondamento delle proprie richieste, d’altra parte nel riconoscere al titolare dei diritti la facoltà di agire anche contro l’intermediario – a prescindere peraltro dalla responsabilità di quest’ultimo – per ottenere l’inibitoria della prosecuzione di una determinata condotta, stabilisce che tale previsione debba essere contemperata con le disposizioni contenute nella direttiva sul commercio elettronico e, dunque, tra le altre, anche con quella che esclude qualsivoglia obbligo di sorveglianza dell’intermediario.

A ragionare diversamente, altro canto, le decisioni dei giudici in materia di proprietà intellettuale finirebbero – come peraltro accaduto in questo caso – con l’avere una portata generale ed astratta – analoga, nella sostanza a quella della legge – e con il reiterare il semplice contenuto di un precetto normativo: quello secondo il quale è vietata la pubblicazione di altrui contenuti in assenza dell’autorizzazione del titolare dei diritti.
Sarebbe un po’ come se – online o offline – un giudice potesse ordinare ad un determinato soggetto di non violare mai più i diritti d’autore di un certo titolare.

Si tratta, peraltro, di una questione della quale – proprio mentre i Giudici del Tribunale di Roma emettevano la propria decisione – veniva interessata la Corte di Giustizia dell’Unione Europea. La Corte d’Appello di Bruxelles, infatti, con una Sentenza dello scorso 28 gennaio, ha chiesto ai Giudici di Strasburgo di pronunciarsi sulla compatibilità con la disciplina europea in materia di commercio elettronico di una norma nazionale che riconosca al giudice il potere di ordinare ad un intermediario della comunicazione di installare dei filtri preordinati a precludere lo scambio – da parte dei propri utenti – attraverso le piattaforme di P2P di materiale coperto dal diritto d’autore.

La sentenza belga è stata pronunciata nell’ambito dell’ormai famosa controversia sorta nel lontano 2004, che vede contrapposte la SABAM – la corrispondente belga della nostra SIAE – e la Scarlett, un Internet service provider. Sebbene con i distinguo del caso, le due controversie hanno forti momenti di contatto: in entrambi i titolari dei diritti d’autore hanno chiesto ed ottenuto – almeno in fase cautelare – che venisse ordinato agli intermediari della comunicazione di inibire la prosecuzione di una condotta posta in essere dai propri utenti nel presente come nel futuro.
Sarà pertanto interessante, a questo punto, stare a guardare come i Giudici della Corte di Giustizia risponderanno alle richieste della Corte d’Appello belga.

Se la Corte ritenesse che un ordine di inibitoria di portata tanto ampia, avendo per presupposto una sorveglianza preventiva, sia incompatibile con l’ordinamento comunitario e, in particolare, con la disciplina sul commercio elettronico, forse contribuirebbe a ripristinare la vigenza, anche nel nostro Paese, di un principio che altrimenti è ormai a rischio di estinzione: quello dell’assenza di un obbligo di sorveglianza dei provider.
Tornando in Italia, invece, a questo punto, non resta che stare a guardare quali saranno le determinazioni dello stesso Tribunale di Roma in relazione alle modalità con le quali Google dovrà ottemperare all’ordine di inibitoria. Come già accaduto in Belgio nella richiamata controversia Sabam c. Scarlet, infatti, tale decisione è, probabilmente, più importante di quella di merito.

Chi deve pagare la tecnologia e le risorse necessarie a inibire la futura pubblicazione da parte degli utenti? Quale percentuale di fallibilità della tecnologia da adottarsi sarà ritenuta “scusabile”? Quali saranno i contenuti di cui Google dovrà inibire la pubblicazione su YouTube? Anche la pubblicazione di un video in cui si utilizzano le immagini del Grande Fratello per pochi secondi per scopi di cronaca andrà preclusa?
Si tratta di una questione analoga a quella relativa agli strumenti di filtraggio che Scarlet avrebbe dovuto adottare per adempiere all’ordine del giudice e che in Belgio ha occupato decine di Giudici e consulenti tecnici dal 2004 ad oggi senza, peraltro, che si sia giunti ancora ad un punto di arrivo.

Francamente faccio un po’ fatica ad accettare l’idea che i costi dell’attività di prevenzione della pirateria audiovisiva sulla piattaforma o attraverso le infrastrutture di un intermediario possano essere poste a carico di quest’ultimo perché sarebbe come ritenere che le fabbriche di armi siano tenute ad installare a proprie spese metal detector un po’ ovunque per scongiurare il rischio che i loro prodotti siano utilizzati per scopi illeciti o, piuttosto, che la Società Autostrade sia tenuta a vigilare, a proprie spese, sull’eventuale utilizzo delle autostrade medesime per contrabbando o altre attività illecite.

L’attività di antipirateria audiovisiva compete ai titolari dei diritti, alle associazioni di categoria, alle società di gestione collettiva dei diritti e allo Stato ma non ai privati che abbiano la sola colpa di essere intermediari utilizzati dagli utenti per porre in essere attività in violazione degli altrui diritti d’autore. La tesi secondo la quale per gli intermediari della comunicazione – o per alcuni di essi – dovrebbe valere una regola diversa perché tali soggetti guadagnano dalla circolazione attraverso le proprie infrastrutture o dalla pubblicazione sulle proprie piattaforme dei contenuti pubblicati da terzi non convince perché anche i fabbricanti d’armi guadagnano dalla vendita di armi usate nelle rapine così come gli enti di gestione delle autostrade dal transito dei contrabbandieri.

Sbaglieremmo a bollare questa questione come un problema tra due colossi dell’industria dell’intrattenimento perché, che ci piaccia o no, dall’assetto definitivo che la disciplina della materia assumerà nei prossimi mesi anche – ed anzi soprattutto – attraverso decisioni come quelle rese dal tribunale di Roma dipenderà in buona percentuale la quantità di libertà di informazione del pensiero della quale ciascuno di noi disporrà in futuro.

Sorveglianza preventiva – ammesso anche che si tratti di un’attività tecnicamente e economicamente sostenibile – infatti, forse, fa rima con rispetto degli altrui diritti d’autore. Ma, certamente, non fa rima con libertà.

Guido Scorza
Presidente Istituto per le politiche dell’innovazione
www.guidoscorza.it

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Pubblicato il
15 feb 2010
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