Roma – Esco da un silenzio forzato – dovuto all’overbooking di impegni di lavoro – per commentare alcuni “outing” sulla DTT che mi è capitato di leggere negli ultimi giorni.
Comincio da questo articolo di Mauro Vergari apparso sul sito di Adiconsum, rilanciato da Punto Informatico nell’ edizione del 9 Maggio e prontamente replicato da Remo Pulcini , autore del portale televisionedigitaleterrestre.it .
Scrive Vergari:
La tv digitale terrestre non è una “novità tecnologica” è semplicemente un ulteriore adeguamento provocato dalla digitalizzazione e nutriamo anche qualche dubbio sulla sua reale necessità.
Non sono d’accordo. E’ condivisibile affermare che lo standard per il Digital Video Broadcasting (DVB) è tecnologia matura, già utilizzata da diversi anni sul satellite (DVB-S) e in alcuni casi via cavo (DVB-C). Il digitale terrestre tuttavia, soprattutto “all’italiana”, rappresenta una novità enorme. La Spaghetti Terrestrial Digital Television è il primo esempio di tv digitale interattiva aperta nel nostro Paese!
Se infatti è vero che le applicazioni interattive sono disponibili anche sui canali satellitari, e dunque multimedialità e interattività non sono una peculiarità della DTT, d’altra parte è fondamentale osservare che tali applicazioni disponibili sui bouquet satellitari, eccetto forse in casi recentissimi, si fondano su tecnologia proprietaria.
La grande portata innovativa della DTT all’italiana, per gli utenti e per il cittadino, risiede nella scelta di promuovere l’utilizzo di MHP (Multimedia Home Platform) come standard per la creazione delle applicazioni interattive. Un VERO standard: aperto, condiviso, utilizzabile da tutti.
Cito ancora dall’articolo di Vergari:
Ci viene raccontato che l’attuazione di questa trasformazione, data la sua importanza strategica, necessita dell’intervento diretto dello Stato e della creazione di apposite organizzazioni, come DGTVi…
Attenzione. L’intervento dello Stato nell’attuazione del passaggio al digitale è FONDAMENTALE. Questo ci viene riconosciuto da tutta l’Europa. Il modello italiano, basato sugli incentivi, è entrato nell’ideale best practise per l’introduzione della tv digitale terrestre. L’inghilterra, partita fra le prime ormai qualche anno fa, sbagliò il modello di business puntando tutto sulla pay per view. La Finlandia ha il più alto tasso di penetrazione della tv digitale (intesa come somma delle sue diverse filiazioni: celeste, terrestre,… mobile), ma la quasi totalità dei decoder sono degli zapper (nessuno stack MHP, dunque niente applicazioni interattive). Guardiamo oggi alla Spagna: ha recentemente anticipato di due anni (al 2010) lo switch off e sta studiando il caso italiano.
Continua:
Nessuna novità quindi, ma un semplice ed ovvio cambio di tecnologia per offrire con la televisione terrestre, tutti i vantaggi già descritti e da tempo utilizzati solo da chi vede (circa 5.000.000 di utenti) la televisione attraverso il satellite ed in minima parte anche con il doppino telefonico o la fibra ottica.
Ovvio? Non è affatto ovvio, per una grandissima fetta della popolazione italiana accedere ai servizi di e-government altrimenti erogati via Internet e su larga banda. La larga banda è ancora un miraggio in molti paesi del Sud Italia, la MegaInternet prerogativa di utenti urbanizzati. Il satellite d’altra parte è costoso: richiede un investimento iniziale e comporta la corresponsione di un canone di abbonamento dell’ordine di qualche centinaia di euro annuali che non tutti si possono permettere.
La TV digitale terrestre invece porta in tutte le case un “network PC”. Mette in Rete tutti i cittadini, quella stessa Rete appannaggio di (ancora) pochi, riciclando come interfaccia il buon vecchio televisore e l’amato telecomando.
A regime, anche mia mamma sarà in grado di pagare l’ICI da casa, come oggi io faccio con il PC. E non dovrà saper usare il computer per compiere un’azione semplice come un pagamento o la consultazione dell’orario dei treni.
E questo è proprio quello che auspica – contraddicendosi – il collaboratore di Adiconsum in un passo successivo:
Dovendo proporre una svolta tecnologica che investa tutti i cittadini, è compito del Governo, invece, fare in modo che tutti possano usufruire di medesimi servizi e delle medesime opportunità. Se la digitalizzazione permette l’interattività e la multimedialità, facilitando l’accesso ai servizi della pubblica amministrazione, queste opportunità non devono essere offerte solo attraverso uno specifico mezzo di trasmissione, ma devono essere garantite a chiunque utilizzi la radio e la televisione digitale. Solo con tali obiettivi si giustificano gli incentivi economici, che altrimenti si trasformano in aiuti di Stato verso alcune aziende.
Non a caso gli operatori satellitari si stanno svegliando. Già qualcuno sperimenta MHP su satellite e pregusta una fetta di mercato più cospicua, dovuta al fatto che laddove il segnale terrestre non garantirà copertura arriverà il satellite.
Su Sky e sulla vicenda del mancato accesso agli incentivi per i suoi decoder mi limito a osservare che probabilmente è stata sfruttata male un’opportunità. La sostituzione di tutti i set top box, per esigenze di transizione alla codifica NDS, poteva essere l’occasione per implementare e distribuire milioni di apparati MHP-ready. Peccato!
Venendo alla replica di Pulcini, l’aspetto che più mi ha sorpreso (frecciatina…) sono gli oltre 10000 visitatori unici che dichiara nel suo “più portale sulla tv digitale terrestre”, dopo essere finito pubblicato su Adiconsum e su Punto Informatico.
Osservo che non esistono “(…) Nazioni da sempre invidiose del sistema Italia” , quanto piuttosto Nazioni che hanno anticipato l’Italia nella sperimentazione e che, come nel caso della Germania, hanno scelto di avviare lo switch off per aree geografiche, digitalizzando il proprio Paese un po’ alla volta (vedi il caso di Berlino).
Per quanto riguarda invece la partecipazione degli utenti alla costruzione del nuovo ecosistema digitale, problema sollevato anche da Vergari, posso rispondere per quello che è la mia esperienza diretta.
Il Ministero delle Comunicazioni, tramite la Fondazioni Ugo Bordoni, ha promosso e sta promuovendo la creazione di associazioni che permettano un cortocircuito fra gli attori della filiera della tv digitale, ciascuno con il proprio ruolo. Dopo DGTVi , che riunisce i principali broadcaster nazionali e una importante federazione di settore, e che ha prodotto il D-Book (.pdf, 893 Kb), è nata Ambiente Digitale, che si occupa attraverso i suoi gruppi di lavoro di stabilire le linee guida per il mercato dei servizi interattivi. Un’altra associazione è costituenda e si chiamerà Sistema Digitale (vedi sito in costruzione ) e si preoccuperà della parte infrastrutturale; un’altra ancora, INPUT , promossa da FUB e ISIMM , nata lo scorso autunno , si occupa di contenuti digitali.
Queste associazioni conservano una forte impronta governativa, e lo si evince leggendone lo statuto. Ma creano le condizioni per un confronto fra gli addetti ai lavori, per uscire dalla fase di incentivazione e creare i presupposti tecnici ed economici per la sussistenza di un mercato della tv digitale.
In questo panorama in effetti mancano due categorie di interlocutori: i piccoli broadcaster, poco o male rappresentati, e gli utenti. Probabilmente non è un caso, visto l’approccio top-down del modello a incentivi. Non mi sembra però un ottimo motivo per dire no al digitale terrestre, quanto piuttosto un gap da colmare.
Roberto Ciacci
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