Sei anni di carcere per aver tratto vantaggio economico direttamente o indirettamente da una collezione di link pubblicata a favore degli utenti. Gli intermediari che vengano giudicati responsabili di incoraggiare la pirateria rischiano di avere vita difficile in Spagna.
L’inasprimento delle punizioni per gli amministratori dei siti che offrano ai netizen delle raccolte di link che puntano a file condivisi illegalmente altrove è scritto negli emendamenti al Codice Penale locale e sottoscritti dal Consiglio dei Ministri, in attesa della revisione parlamentare. Con l’obiettivo di raggiungere “un equilibrio tra la protezione dei diritti d’autore e le nuove tecnologie”, il testo della legge chiama in causa esplicitamente coloro che “facilitano l’accesso agli indirizzi in cui si trovino opere o performance protette”, e che da esse traggano “vantaggi diretti o indiretti (ad esempio attraverso la pubblicità)”.
Nel mirino delle autorità spagnole, “le pagine che permettono di ottenere una lista di collegamenti attraverso i quali si può accedere illecitamente ad opere protette dal diritto d’autore”: la pena massima prevista dall’ultima bozza dell’articolo del Codice Penale prevedeva il carcere per un minimo di sei mesi a un massimo di 4 anni; ora sono 6 gli anni di prigione che devono attendersi gli admin che gestiscano i più imponenti traffici di link.
La legge previene l’obiezione di coloro che assimilano i raccoglitori di link ai motori di ricerca, pure guardati con sospetto dall’industria dei contenuti: “In nessun caso – assicurano le autorità spagnole – si agirà contro utenti e motori di ricerca che operano in maniera neutrale, né contro i software P2P che consentono di condividere contenuti”. Per essere condannati, i gestori dei siti di link dovranno contribuire “in modo significativo” alla violazione della proprietà intellettuale operando una scelta dei link non affidata a operazioni automatiche, e la gravità della loro condotta sarà valutata raffrontando il loro operato con “il volume di pubblico in Spagna o il numero delle opere o delle performance non autorizzate”.
Nel testo approvato dal Consiglio dei Ministri spagnolo resta la minaccia della rimozione dei contenuti dal sito che venga giudicato in violazione del diritto d’autore, come previsto dalla proposta nota come Ley Lassalle e dalla precedente Ley Sinde . L’interruzione della connettività e il blocco degli accessi verranno invece disposti solo nel caso in cui il sito operi “esclusivamente o per la maggior parte” al fine di diffondere contenuti pirata.
Secondo gli osservatori spagnoli, la nuova formulazione del testo normativo potrà dare luogo a non pochi problemi : non si specificano l’entità del pubblico raggiunto dai siti perché la violazione venga considerata grave, resta il dubbio relativo alla definizione di scopo di lucro diretto o indiretto, con l’inossidabile questione delle mancate vendite, la pena del carcere potrebbe risultare sproporzionata, nonostante la legge abbia un esplicito intento deterrente.
Anche i detentori dei diritti non sembrano completamente convinti del valore della nuova formulazione: a fronte di coloro che esprimono soddisfazione, ci sono rappresentanti del settore che manifestano in primo luogo la necessità di responsabilizzare gli utenti, o di sradicare il problema seguendo il sempre più chiacchierato approccio “follow the money”, scaricando la responsabilità su inserzionisti e gestori delle transazioni, coloro cioè che rendono un business le attività di condivisione organizzata dei link pirata.
Sono in molti a speculare sul fatto che la mossa del legislatore spagnolo sia una risposta alle pressioni dell’industria del copyright statunitense: la Spagna, per anni porto sicuro per i condivisori di link , e per anni compresa nella lista nera dei nemici del copyright statunitense, è stata esplicitamente sollecitata dalle autorità degli States, sotto minaccia del deferimento presso la World Trade Organization e dell’annullamento di accordi internazionali sui dazi doganali.
La proposta di riforma approvata dal Consiglio dei Ministri deve ancora essere esaminata dal Parlamento: in meno di un anno potrebbe entrare in vigore.
Gaia Bottà