È vero che ormai si fa meccanicamente: messaggio sospetto, mittente sconosciuto? Cestino, svuota cestino. Ma sapere che il 95 per cento della posta elettronica circolata in rete nel corso del 2007 è spam, sebbene non stupisca, è comprensibile che alzi polvere: si parla di uno dei flagelli più devastanti , una piaga per le infrastrutture di rete, un costo crescente per chi le gestisce, e una ipoteca su uno strumento, l’email, considerato essenziale dalla maggioranza dei navigatori. Ed è proprio quel 95 per cento il dato più importante che emerge da uno studio effettuato sul traffico di un miliardo di messaggi di posta elettronica svolto da Barracuda Networks .
L’azienda ha preso in esame 261 professionisti, un campione forse troppo piccolo ma dalle risposte che ha dato senz’altro interessante. Lo spam infatti non è poi così odiato . Il 57 per cento degli intervistati ritiene molto più frustrante e abusiva una tentata vendita telefonica, un fenomeno che persino in Italia, dove vigono severe normative sulla privacy, continua a torturare gli utenti, in particolare della telefonia fissa.
“La guerra dello spam è una battaglia continua tra gli spammer e chi vende soluzioni di difesa”, ha detto Dean Drako, presidente e CEO di Barracuda. “Tali soluzioni richiedono, oggi come oggi, un monitoraggio 24 ore su 24, sette giorni su sette delle tendenze dello spam e il relativo allineamento degli strumenti di difesa. (Solo così, ndR) si ottiene una combinazione in grado di bloccare un attacco di spam nell’arco di pochi minuti dal suo avvio”.
I numeri che emergono dallo studio sono rivelatori: il 50 per cento degli utenti esaminati ha ricevuto ogni giorno cinque messaggi di spam nella propria mailbox. Messaggi che nella normalità dei casi non rivelano l’identità del mittente e ricorrono invece ad allegati dall’apparenza innocui, come i file PDF o quelli di Excel , che sono invece pensati per aggredire l’utente con tutto quello che va da proposte commerciali allo spyware, passando per malware di ogni genere.
Sebbene abbiano assicurato alcuni anni di carcere a quelli tra gli spammer professionisti che sono stati arrestati e processati, normative come il CAN SPAM statunitense non hanno ottenuto una riduzione della quantità di email spazzatura circolante, come previsto fin dal 2003 su queste pagine dall’esperto italiano Furio Ercolessi. Quando il CAN SPAM fu approvato, la quantità di spam sul totale delle email circolanti era calcolato attorno al 70 per cento.
Né fino a questo momento hanno ottenuto grandi risultati le major del software che pure si battono contro lo spam da anni. Le cose vanno meglio per gli utenti di webmail: Google ad esempio dichiara con una certa frequenza che il suo “antispam sociale”, che si basa su un aiuto concreto degli utenti del suo servizio Gmail, riduce la quantità di spam invasivo quasi integralmente.
Ma come ridurre la posta immondizia che comunque percorre e ingolfa le reti? Non è un problema individuale, ma appunto di community , confermano gli esperti Dana Blankenhorn e Paula Rooney. Per cui l’approccio migliore dovrebbe essere dello stesso tipo: un’azione “comune”, magari proprio “a là Google”. E ci sono diversi progetti open source che puntano a questi obiettivi, per individuare e circoscrivere il fenomeno “tutti insieme”.
Tra i progetti più interessanti anche l’adozione di un approccio mutuato dal social networking , allo scopo di creare una comunità antispam basata sull’autenticazione e il riconoscimento reciproco, e dunque sui rapporti di fiducia insiti nella natura delle reti sociali, o almeno di alcune di esse.
Gli esperti concordano: il futuro dell’antispam è nella collective intelligence , destinata ad avere un impatto assai più importante, continuato e pervasivo nei confronti dello spam rispetto a quanto avvenuto fino ad oggi. In ballo rimane sempre il problema dell’individuazione degli spammer, della repressione del fenomeno. Ma è chiaro che se lo spam venisse arginato, e quelle percentuali registrate nel 2007 non dovessero più ripetersi, si ridurrebbe anche l’incentivo a imbarcarsi in imprese criminali basate sulla sottrazione di risorse e tempo agli altri per il proprio esclusivo profitto.
Marco Valerio Principato