Sono decine i messaggi arrivati in redazione e agli altri indirizzi di Punto Informatico nelle scorse ore che violano clamorosamente le specifiche antispam ribadite nei giorni scorsi dal Garante per la privacy , quelle che sottolineano come anche un solo primo messaggio di “richiesta di consenso” all’invio di email rappresenti spam e, dunque, violi la legislazione italiana sulla privacy.
“Richiesta di autorizzazione”, “Autorizzazione”, “Domanda di consenso”: questi ed altri i subject di email spammatorie trasmesse da soggetti che si spacciano più o meno per attività autorizzate e che in tutti i casi reclamizzano la liceità dell’operazione , spacciando per legale un’operazione che non lo è affatto.
Si leggono cose come:
“Ai sensi del Testo Unico sulla Privacy, La informiamo che il suo indirizzo E-Mail è stato rintracciato sui motori di ricerca. In conformità con quanto disposto dal Garante in materia di SPAMMING Le chiediamo l’autorizzazione ad inviarLe materiale informativo riguardante Collaborazione professionale”
Spam tutt’altro che nuovo, gira da anni, ma è singolare che non sia diminuito dopo l’ennesimo pronunciamento del Garante, che pure è stato chiaro: “Non si possono inviare e-mail per pubblicizzare un prodotto o un servizio senza prima aver ottenuto il consenso del destinatario, anche quando si tratta solo del primo invio”. Non si scappa: per poter inviare una mail promozionale è necessario un consenso preventivo (opt-in). Ottenerlo in modo legittimo significa trasmettere posta promozionale a chi ha chiesto di riceverla, ad esempio su siti specializzati in newsletter pubblicitarie.
Ciò che invece attende gli spammer è un probabile florilegio di ricorsi al Garante stesso. Questi si era espresso infatti bocciando le pratiche di una società informatica che si dichiarava innocente proprio per aver fatto ricorso ad una “richiesta di consenso”. È pubblicità non richiesta anche quella, ed è illegale anche utilizzare indirizzi email trovati su web : si tratta di dati personali il cui trattamento deve essere autorizzato dal titolare in ogni caso.
Ma se gli spammer italioti non sembrano aver preso nota del richiamo del Garante, su tutt’altro fronte Google si è dimostrato più disponibile nel dialogare con l’Authority. Rappresentanti del Garante e del colosso di Moutain View si sono infatti incontrati nei giorni scorsi per discutere di una questione scottante , ovvero della possibilità per il motore di ricerca di agire sui risultati dinanzi alla necessità di tutelare la reputazione di un individuo .
Un caso legato, come noto, al fatto che le cache registrate da Google di alcuni siti posti in evidenza nella ricerca del nome di una ricorrente, non presentavano la realtà dei fatti di un procedimento penale nel quale la stessa era stata assolta: la presenza di informazioni non aggiornate ha spinto quella persona a chiedere l’intervento del Garante per tutelare la propria immagine.
“Al centro dell’incontro – spiega il Garante – le problematiche relative alla permanenza in rete di informazioni personali che restano consultabili mediante i motori di ricerca, malgrado siano state corrette presso i ?siti web sorgentè dai quali le pagine sono state estratte”.
Google si è detto disponibile a rendere più agevole e comunque più tempestiva possibile la cancellazione delle pagine cache (copie delle pagine originali), titoli e sommarietti reperibili con il motore di ricerca, “quando queste non sono più presenti presso i siti web sorgente”. L’azienda non ha però confermato di poter provvedere alla cancellazione su richiesta diretta del Garante italiano o degli altri garanti europei. Si è comunque aperto un dialogo sulla questione che, sottolinea l’Autorità, non si fermerà qui.