Prima di arrivare sulla Terra, l’energia solare attraversa lo spazio che divide il nostro pianeta dal Sole, viene filtrata dall’atmosfera e nel tragitto perde una parte non trascurabile del suo potenziale. La possibilità di raccoglierla e spedirla al suolo prima che tale potenziale vada perduto è una teoria in circolazione da decenni, ma la prima applicazione concreta si vedrà solo nel 2016 quando Pacific Gas & Electric metterà in funzione il primo, vero impianto di energia solare “spaziale” in California.
PG&E, la più importante utility energetica dello stato USA, ha messo sotto contratto la società Solaren Corp per la realizzazione di un network di satelliti permanenti in orbita intorno al Pianeta con il compito di raccogliere i raggi solari, convertirli in onde radio ad alta energia e poi spedirli sulla Terra nella stazione ricevente di Fresno, dove verranno infine convertiti in corrente elettrica e immessi direttamente nel network di fornitura alla popolazione.
L’energia solare raccolta nello spazio offre parecchi vantaggi, pochi (e a quanto pare risolti) problemi: la quantità di energia che è possibile produrre con un tale sistema ammonterebbe a un carico di 200 megawatt costanti, e l’assoluta mancanza di fattori ostacolanti quali atmosfera, alternarsi del giorno e della notte e le diverse condizioni climatiche dettate dal ciclo delle stagioni garantirebbero un funzionamento 24 ore al giorno, ogni singolo giorno, per tutta la durata della vita del satellite ricevente.
Le celle solari impiegate nello spazio sono poi in grado di ricevere, con le tecnologie attuali, dalle 8 alle 10 volte la quantità di energia oggi ricavata dal fotovoltaico qui sulla Terra . Il sistema di trasmissione e ricezione funziona a ciclo continuo, non c’è bisogno di batterie di backup per supportarlo quando il Sole non c’è : nello spazio il Sole c’è sempre e le difficoltà immobiliari sono pari a zero.
Solaren Corp sostiene che per il 2016 sarà pronta a lanciare in orbita il network satellitare, i problemi connessi all’impresa (alte energie dei raggi solari non filtrati dall’atmosfera inclusi) sono stati risolti e la società ha tutto l’expertise che occorre per mandare nello spazio 25 tonnellate di metallo per ogni singolo satellite.
Il progetto di Solaren risolverebbe poi le controindicazioni poste da uno studio del Pentagono del 2007 che, accanto alla relativa facilità di implementazione del “fotovoltaico spaziale” basato sulla rodata tecnologia delle comunicazioni satellitari, metteva il costo significativamente più alto dei prezzi di mercato “terrestri”, per lo meno all’inizio. Il sistema di Solaren dovrebbe invece essere “competitivo sia in termini di performance che di costi con le altre fonti di produzione energetica”, secondo quanto sostiene il CEO dell’azienda Gary Spirnak.
In attesa che il fotovoltaico spaziale rivoluzioni il campo delle energie rinnovabili, a ogni modo, la ricerca procede anche sul fotovoltaico terrestre , in particolare con la realizzazione di piccoli galleggianti potenziati con nanotubi di carbonio in grado di attivarsi e riscaldare l’acqua attorno a essi direttamente con i raggi solari.
Al contrario dei sistemi attuali per la produzione di energia solare, quello a cui stanno lavorando i ricercatori della University of California, Berkeley elimina l’esigenza di un componente “intermediario” per la conversione da fotoni a energia spendibile per alimentare la rete elettrica, rendendo (in teoria) ancora più conveniente e competitivo il ricorso alle fonti rinnovabili una volta che si sarà provata l’effettiva scalabilità della tecnologia e la sua reale utilità in applicazioni concrete.
Alfonso Maruccia