Per smart working si intende una modalità di lavoro agile, ossia svincolata da una postazione fissa all’interno di un ufficio. Nel far cadere questo dogma, oltremodo legato ad un modo di pensare il lavoro vetusto e superato, crolla un intero castello di norme, prassi e limiti culturali. La scintilla è per molti versi tecnologica: è la tecnologia a rendere superata la postazione fissa dell’ufficio, esplicitando nuovo valore che le aziende ed i lavoratori hanno la possibilità di sfruttare attraverso nuove modalità “smart”.
Attenzione a non cadere però nell’equivoco: lo smart working non va confuso con il telelavoro, poiché quest’ultimo altro non è se non un sottoinsieme del primo. Lo smart working prevede infatti una forma di lavoro promiscua, nella quale le due componenti convivono nelle proporzioni che ogni lavoro e ogni azienda ritengono opportune. Il telelavoro (eseguito solitamente presso la propria stessa abitazione) è dunque complementare al lavoro tradizionale da ufficio all’interno dell’insieme composito del lavoro smart: due facce della stessa medaglia, che si completano a tutto tondo per regalare a lavoratore e azienda maggiori opportunità.
Lo smart working ha moltissimi vantaggi, ma impone un investimento in risorse tecniche ed evoluzione della cultura aziendale: è una parte fondamentale dei processi di digital transformation ed evolve forma e sostanza delle sue modalità di applicazione in modo quasi speculare a quel che l’innovazione tecnologica consente. Quando si parla di smart working, il riferimento semantico è spesso quello di una “modalità” differente di eseguire un lavoro e questo è afferente per molti versi al fatto che il lavoro stesso avvenga in una differente dimensione: decade il concetto di spazio, così come quello del tempo, cercando nei paradigmi della digitalizzazione un modo nuovo di intendere i flussi lavorativi ed il conseguimento degli obiettivi.
Cos'è lo smart working?
A livello normativo, lo smart working è definito all’interno della Legge 22 maggio 2017, n.81, dove l’articolo 18 comma 1 recita:
Le disposizioni del presente capo, allo scopo di incrementare la competitività e agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, promuovono il lavoro agile quale modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa. La prestazione lavorativa viene eseguita, in parte all’interno di locali aziendali e in parte all’esterno senza una postazione fissa, entro i soli limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale, derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva.
Si tratta di una introduzione particolarmente ben composta poiché riassume una serie di punti fondamentali per quella che è la natura del lavoro agile. Il testo riconosce infatti che con lo smart working:
- si incrementa la competitività;
- si agevola la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro;
- è necessaria una riorganizzazione del lavoro;
- sono necessari strumenti tecnologici ad hoc;
- decadono i limiti di luogo e orario;
- permangono le tutele dei lavoratori.
La legge in esame fissa i paletti entro cui deve prendere corpo il rapporto di lavoro tra azienda e lavoratore, facendo in modo che possa decadere il pensiero standard del lavoro in ufficio in virtù delle maggiori potenzialità di una forma mista identificabile nello “smart working”.
Lo spazio
Elemento fondamentale per lo smart working è la possibilità di lavorare senza essere legati ad una postazione fissa in un ufficio. A decadere è il concetto di spazio, quindi, poiché il lavoro può essere organizzato senza avere postazioni predeterminate: che la modalità di esecuzione sia in mobilità o presso l’abitazione del lavoratore, poco importa poiché il luogo viene a perdere di ogni rilevanza.
Rispetto alle modalità tradizionali, alle quali occorre fare riferimento per poter ragionare in termini di differenze, il datore di lavoro deve comunque garantire tanto la sicurezza del lavoratore, quanto la sicurezza delle modalità di espletamento del lavoro stesso: così come la normativa garantisce il primo aspetto, il secondo è invece blindato da apposite policy legate a connessioni, password e piattaforme collaborative in grado di preservare nel migliore dei modi i dati sensibili, le proprietà intellettuali e la sicurezza dei processi aziendali.
A cambiare, inoltre, è l’ufficio: laddove in precedenza v’era un rapporto biunivoco tra postazione e lavoratore, con apposite separazioni dello spazio sulla base di aggregazioni per funzione aziendale, viene ad emergere una riorganizzazione profonda che rimodula strumenti, spazi, ingombri. Per l’azienda sono da mettere in conto risparmi oggettivi nei costi fissi dell’infrastruttura, aspetto da tenere in stretta considerazione nel contesto delle valutazioni circa progetti di questo tipo.
Il tempo
Il fatto che il lavoratore non sia più fisicamente presente al fianco di colleghi e datore di lavoro getta in campo nuovi aspetti fondamentali per l’espletamento del lavoro in modalità “smart”: nuovi flussi di lavoro, l’emergere degli obiettivi come nuovi parametri di valutazione ed una fondamentale base fiduciaria. Serve fiducia, esatto: non è più la quantità di ore lavorate a misurare l’abnegazione e la qualità del lavoratore, ma ad emergere sono anzitutto i risultati, la capacità cooperativa in remoto, la disponibilità negli sforzi collaborativi, la capacità di lavoro in team anche a distanza.
In questo caso ragionare per differenze rispetto al lavoro tradizionale potrebbe addirittura essere fuorviante, poiché il decadere del tempo di lavoro (vero e proprio architrave del concetto di lavoro ereditato dalla storia sindacale) trasforma completamente il modo in cui il lavoro stesso viene immaginato. Lo smart working, di fatto, dematerializza il tempo di lavoro togliendo un inizio ed una fine allo stesso: il tempo non è più una unità di misura, ma un semplice contenitore nel quale tocca al lavoratore metterci quanto più contenuto possibile.
Non si bolla al mattino, non si salutano i colleghi la sera, la pausa pranzo è ad orario libero, ci si può assentare in caso di necessità. Attenzione a questi aspetti, perché hanno pro e contro di grandissima incidenza tanto sul lavoro, quanto sulla vita privata: le due parti tendono infatti ad intrecciarsi nelle 24 ore fino a – troppo spesso – confondersi. Lo smart working, soprattutto nella sua modalità in remoto, impone quindi un grande equilibrio ed una grande consapevolezza da parte del lavoratore, così come al tempo stesso richiede un passo culturale in avanti da parte del datore di lavoro. Quando le due parti si incontrano, le sinergie sprigionano un grande valore.