Pochi giorni fa sono stato invitato da un caro amico ad una conferenza, tenuta dalla persona che più profondamente e positivamente abbia forgiato l’informatica negli ultimi 30 anni. Gli informatissimi 24 lettori avranno capito immediatamente che, non trattandosi di una seduta spiritica, non poteva trattarsi di Steven Paul Jobs, e poiché i quotidiani non ne hanno parlato, nemmeno di William Henry Gates III. D’altra parte, nessuno dei suddetti si è nemmeno avvicinato, come contributi positivi, all’opera di Richard Matthew Stallman, noto anche con l’acronimo di RMS o col titolo, affettuosamente dispregiativo, di “Uomo Stalla”, mutuato dal costante look trasandato da hacker “classico”.
Ricorre infatti in questi giorni il trentesimo anniversario di una sua iniziativa, a cui si è dedicato anima e corpo, che ha cambiato in senso positivo il mondo dell’informatica e della Rete, dominato allora solo da grandi aziende costose e poco innovative come ad esempio AT&T.
È una bella ed importante storia: se non la conoscete per favore continuate a leggere.
In quei tempi Unix (con la “U” maiuscola era appunto proprietà di AT&T, che ne cedeva i codici solo a caro prezzo e senza concedere la possibilità di modificarlo, quando invece esso permeava la maggior parte delle attività di ricerca sia in campo universitario che “hobbistico”.
Proprio nel settembre del 1983 Richard (Cassandra si permette un tono confidenziale perchè appartiene alla sua generazione e ne è da vent’anni strenuo sostenitore) lanciò su varie maillist di ARPANet un progetto per quei tempi già enorme ed estremamente ambizioso, ma i cui sviluppi sarebbero stati ancora più grandi, tali appunto da cambiare (in meglio) il mondo.
All’epoca si trattava “semplicemente” di riscrivere da zero il sistema operativo Unix, in modo tale che non solo il monopolio di AT&T fosse spezzato per sempre, ma che chiunque potesse usare, modificare ed adattare a suo piacimento il nuovo sistema operativo senza tuttavia poter limitare in nessun modo ad altri di esercitare gli stessi diritti.
Il nuovo sistema operativo, di cui allora esisteva solo un editor di testo, fu da lui battezzato con l’acronimo ricorsivo GNU (Gnu is Not Unix), e per creare le condizioni in cui questo lavoro potesse essere svolto, inventò il concetto di Software Libero, la filosofia Copyleft, la licenza GPL (General Public Licence) e fondò la FSF (Free Software Foundation).
Scusate se è poco!
Richard, in parole povere, riuscì a dare una accelerazione warp 9 alla collaborazione libera di chi scriveva già software e lo metteva a disposizione di tutti in Rete, ed a creare una preziosa meraviglia, un “circolo virtuoso” tra tutti quelli che devono sviluppare qualcosa che al 90 per cento è già pronto in Rete.
Convince molti ad aderire con entusiasmo a questo meccanismo, mentre contemporaneamente impedisce con la forza del copyright e dei tribunali, a coloro che avessero voluto cedere alla tentazione, di rubare il software che gli serviva, non rendere pubbliche le modifiche e le aggiunte, e di rivenderlo come proprio, di mettere in pratica queste cattive azioni. “Virtuosi per forza”, insomma.
Scardina con successo il monopolio del software proprietario con gli stessi strumenti usati da altri per mantenerlo, e spinge persino grandi aziende ad aderire, per pura convenienza, a questo modello (IBM per tutti: sapete cosa gira sui supermainframe Z9? Una serie di patch GPL del kernel di Gnu/Linux). Da allora vive attivamente ma in una povertà francescana, girando continuamente il mondo come un missionario, ripetendo instancabilmente un “credo” che deve inflessibilmente rimanere “puro” per continuare a funzionare, ed adattandolo continuamente e con estrema cura ai grandi cambiamenti tecnologici dell’informatica e della Rete.
Al suo confronto, quelli che vengono normalmente considerati Grandi dell’informatica scompaiono: Steve diventa un ottimo stilista dell’informatica e Bill un grande venditore, tutti e due però fortemente orientati al profitto proprio e delle proprie aziende, e non al progresso della Rete e del’Umanità.
Ed eccoci qui: Cassandra, che conosce ormai quasi a memoria la conferenza in corso, ascolta in sottofondo il discorso mentre scrive al computer, sorride alla classica performance di “Sant’IGNUzio e della Chiesa di EMACS”, nota con attenzione le piccole differenze nei concetti dovute ai 10 anni passati dall’ultima volta che li ha ascoltati direttamente dalle labbra del Profeta.
Rifiuta poi con garbo la possibilità di porre una domanda al Grand’Uomo e di dire qualche parola: tutto quello che serviva è già stato detto.
L’asta del peluche di Gnu conclude l’istruttivo spettacolo.
La grande terrazza è piena di gente: la maggior parte ha appena ascoltato per la prima volta dei concetti per loro nuovi e rivoluzionari.
Per alcuni forse l’inizio di una presa di coscienza, magari di una conversione.
Tra la piccola folla ci siamo ritrovati in parecchi “vecchi”, per la prima volta dopo mesi o anni.
Prima di salutarsi e tornare a casa è d’obbligo una piccola cerimonia.
Quattro boccali di birra (piccola, data l’ora e l’età) tintinnano dopo questo augurio: “Cento di questi anni Richard, abbiamo tutti bisogno di te!”.
Marco Calamari
Lo Slog (Static Blog) di Marco Calamari
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