In Rete avvengono talvolta piccoli episodi che creano grandi interferenze con il mondo quotidiano e con quello dei sentimenti.
Quello di oggi è di una piccolezza così piccola che merita di essere raccontato solo a causa della reazione che ha provocato nella mente di un’anziana profetessa.
Il fatto è comune, banale, evidente e chiarissimo: uno spambot ha selezionato dalla sua enorme mail list l’indirizzo di posta del mio rimpianto collega Marco.
Per caso, o perché è uno spambot evoluto e conosce anche la rete di relazioni di ciascun indirizzo della lista e vuole migliorare il suo “tasso di lettura”, l’ha mandato a me.
Il risultato secco tuttavia è stato che stamattina, scorrendo l’elenco dei messaggi arrivati, il tuffo al cuore mi ha colpito una frazione di secondo prima del pensiero razionale.
Non c’è altro da dire sul fatto, non è questo il posto per raccontare come lo spam abbia cambiato il modo di utilizzare la posta elettronica (per le cariatidi che ancora la utilizzano).
Invece ci sta bene qualche considerazione più filosofica (non chiamatela “elucubrazione” per favore) sulla vita digitale dopo la fine della vita fisica .
Non potendo trasferire la nostra mente nel cyberspazio come novelli Neuromanti, quando non ci saremo più i nostri dati ci sopravviveranno, abbandonati, sparsi in giro su server e cloud (e anche su supporti fisici, ma questo è un altro discorso).
Resteranno come un nostro statico fantasma digitale , come i calchi delle vittime della natura a Pompei, come le ombre delle vittime della follia dell’uomo a Hiroshima e Nagasaki.
Cosa fare, posto che qualcosa si possa fare?
Gli americani, come sempre pragmatici e attenti al quattrino più degli europei, già da tempo hanno trattato casi di account bloccati dalla scomparsa dei loro proprietari, utilizzando procedimenti legali di vario tipo tra eredi veri o presunti e fornitori di servizi.
Cassandra ritiene che, in un mondo in cui la proprietà intellettuale ha così pesantemente distorto e inquinato il mondo digitale, sia molto difficile realizzare una soluzione legislativa , efficace e ragionevole che decida il destino del nostro io digitale dopo la morte , a meno di grandi cambiamenti nella coscienza dell’attuale “popolo bove” della Rete.
L’unica risposta possibile rimane quindi quella dell’ autodeterminazione . Se vi frega qualche cosa del vostro io digitale, inventatevi una soluzione artigianale che realizzi quello che voi vorreste che succeda.
Ci sono tanti strumenti quotidiani , magari limitati e di diversa efficacia, utilizzabili come “mattoni” per “comporre” la vostra soluzione.
Dall’email con account e password inviati ad un amico, il quale farà da esecutore testamentario, fino alla criptazione forte di tutti i vostri dati, che li renderà inaccessibili per sempre, o fino a quando il calcolo quantistico diventerà una commodity. Dai messaggi a tempo, che partiranno se non li resettate ogni tanto, alla pubblicazione di tutto ciò che ritenete debba sopravvivervi su Internet Archive.
Cassandra scommette che la soluzione di gran lunga più applicata, anche dai pochi che si porranno seriamente il problema, sarà quella di non fare nulla .
Peccato, perché mentre gli atomi del corpo torneranno prima o poi nel ciclo naturale, i bit dell’io digitale scompariranno per sempre, o peggio sopravvivranno solo nelle banche dati della profilazione e del tecnocontrollo.
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