Lunedì ero a mangiare una pizza con dei conoscenti, ovviamente tifosi, che avevano scelto una pizzeria con i tavoli fuori, dotata di un megaschermo, su cui venivano proiettati omini rossi ed azzurri che correvano su un campo verde dietro un puntino bianco. I tavoli erano in una tranquillissima piazza del centro storico di una cittadina toscana, e qualcuno, per mantenere la suddetta tranquillità, aveva fortunatamente imposto al proprietario di eliminare completamente l’audio.
Per un ateo di calcio come me questa era una vera benedizione: paradossalmente pero’ quelle immagini silenziose, proiettate in alta definizione su uno schermo a me vicinissimo, hanno finito per attrarre la mia attenzione molto di più che se avessero avuto il sonoro.
In una vita passata mi sono occupato a livello professionale di quella che allora si chiamava “Grafica Computerizzata” e successivamente “Realtà Virtuale”. Anche se adesso ho abbandonato il settore (sono diventato un Indiana Jones di antichi codici di calcolo) mi è rimasto un sano interesse per l’argomento, e non perdo occasione per documentarmi ed esaminare qualsiasi hardware, applicazione grafica o videogioco mi capiti di incontrare.
E così, mentre sgranocchiavo una focaccina, ho fatto tra me e me la considerazione che la partita che stavo guardando sembrava graficamente proprio un videogioco. Improvvisamente le parole “la vita è un videogioco” mi sono apparse davanti sospese in aria, fuse in oro massiccio e sfavillanti, come nella sigla di Harry Potter. Su questo ho costruito un filo di pensieri, che molti di voi considereranno banali e scontati, ma che considerati nel loro complesso non credo lo siano.
Perché la partita assomigliava ad un videogioco? Certamente non perché i videogiochi siano adesso così realistici da essere indistinguibili dalla realtà. Anzi, l’imprinting dei videogiochi di qualche anno fa era fatto di ombre approssimative, di texture uniformi del terreno di gioco, di giocatori sempre lontani e dai movimenti poco fluidi, di movimenti di camera impossibili. I videogiochi ora sono incredibilmente migliorati, i giocatori sono ripresi da vicino e perfettamente renderizzati, i pattern ed i movimenti sono realistici, c’è persino la pubblicità sui cartelloni virtuali (è un business reale, non virtuale, ed in crescita).
Però. Però a me la partita continua a sembrare un “vecchio” videogioco. Poi capisco, è successo il contrario, sono le partite che adesso sembrano videogiochi. I terreni di gioco sono più uniformi per facilitare la visione, e sembrano finti, le telecamere la fanno da padrone per inventare artificiali differenze (in favore della pay-TV) e si annidano negli angoli più riposti delle porte o percorrono traiettorie impossibili sopra il terreno offrendoci prospettive degne di Escher .
È proprio la TV, quella di cui una volta si diceva “ti porta il mondo in casa”, a migliorare o più esattamente a “costruire” una realtà più soddisfacente di quella vera, una Iperrealtà alla Baudrillard . Invece di “portarti il mondo in casa”, ti porta piuttosto via dal mondo reale!
Bene, di questo non c’è poi da stupirsi, semmai da preoccuparsi, da incavolarsi, da pensare come reagire.
In questi Spiccioli, però, non c’è posto per grandi discorsi.
Solo, cosa bisogna pensare del fatto che la stessa iperrealtà venga ottenuta sia dalla simulazione digitale che dalla rappresentazione televisivamente manipolata della realtà “vera”? Forse che il risultato identico che nelle due maniere si ottiene è esattamente quello che il telespettatore vuole? In questo caso sarebbe tutto sintetizzabile nell’ossimoro che la Realtà Virtuale è stata infine raggiunta da una “Virtualità Reale” con essa convergente.
O forse sarebbe meglio dire in perfetto stile cassandresco che, o per volontà deliberata o per naturale evoluzione della nostra società, si è raggiunta una nuova e non piccola sinergia nella manipolazione delle menti e nel controllo sociale.
Nel frattempo credo che non regalerò mai una consolle a Sofia: speriamo di riuscire a convincere alla rinuncia sia lei che il nutrito gruppo di zii di cui faccio parte. E le parlerò di televisione…
Lo Slog (Static Blog) di Marco Calamari
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