TRUSTe , una delle organizzazioni non profit più attive nel campo della privacy, ha reso noti i risultati di un’indagine riguardante la sensibilità degli utenti statunitensi nei confronti del ” behavioral targeting “, la tecnica per il marketing online basata sull’analisi comportamentale degli utenti. Con questo sistema gli inserzionisti possono sfruttare le informazioni raccolte sulle navigazioni e le abitudini dei netizen per orchestrare campagne pubblicitarie maggiormente mirate e complementari con i rispettivi gusti.
In base ai dati raccolti dalla società di ricerca TNS Global , sembrerebbe che più del 60% dell’utenza sia a conoscenza delle operazioni di monitoraggio commerciale subite. Come sottolinea ArsTechnica “non ne sono felici, ma quasi tutti hanno indicato che vorrebbero avere l’opportunità di esprimersi sull’utilizzo di queste informazioni”.
Solo il 40% degli americani conosce invece esattamente che cosa sia il “behavioral targeting”: il “tracking” è tollerato, ma quando si entra nel dettaglio delle tecniche utilizzate il pubblico rimane confuso. Così confuso che il 57% alla fine dichiara di non sentirsi a proprio agio con queste pratiche.
Apparentemente la maggioranza degli intervistati sembra storcere il naso di fronte ad una invasione della privacy, in più quando si tratta di giudicare le campagne online il 72% afferma di non vedere soddisfatte le proprie esigenze. La netta maggioranza, inoltre, sostiene che meno di una pubblicità su quattro è profilata sui rispettivi gusti. Da una parte il desiderio una maggiore tutela della privacy è piuttosto condiviso, dall’altra si evidenzia l’inefficienza della pubblicità personalizzata. Se ne potrebbe dedurre che la profilazione non disgusta solo quando funziona alla perfezione.
Ne discutono gli esperti. “Non importa quanto assicuriamo l’anonimato, c’è ancora disagio nell’idea del tracking”, dichiara il direttore di TRUSTe, Fran Maie. “Abbiamo prove tangibili che dimostrano che i consumatori vogliono che si individui uno modo per fornire loro la pubblicità che desiderano. Per fare questo, il behavioral targeting è una delle tecniche più promettenti, ma alla fine dovrebbe essere resa più trasparente, fornire la possibilità di scegliere e portare un reale valore aggiunto”.
Il 91% del campione, non a caso, ha dichiarato che sarebbe disposto ad agire attivamente, per assicurare la propria privacy, di fronte a questo genere di servizi pubblicitari. Ben accetti quindi pulsanti, icone o marchi conosciuti che consentano di rilevare e poi, volendo, accettare o meno il trattamento pubblicitario su misura.
La soluzione quindi – per TRUSTe – è nell’educazione degli utenti. Un mezzo per individuare un compromesso tra le esigenze di tutela della privacy e quelle del behavioral targeting .
Dario d’Elia