In vista di una prossima quotazione in Borsa , il gigante delle musica on demand Spotify sta rivedendo le proprie politiche di fruizione della musica da parte degli utenti. A cominciare dalla principale, ovvero quella di fornire lo stesso repertorio musicale sia agli utenti paganti sia a quelli free (ma in cambio di messaggi pubblicitari). Gli accordi che aveva stretto con le label discografiche sono scaduti e dovranno pertanto essere rinegoziati. Così, Spotify dovrà accettare che alcuni album che usciranno in futuro siano limitati ai soli utenti “premium”. L’accordo è ancora lontano dall’essere finalizzato, ma Spotify ha già dichiarato di avere chiarito questa particolare clausola con le maggiori label del disco, come ha riportato per primo il Financial Times; secondo il quotidiano inglese, in cambio Spotify riceverà una riduzione nelle royalty pagate alle case discografiche. Tutto ciò fa parte di un piano per rendere il suo business più appetibile in vista della quotazione in Borsa.
Il servizio streaming svedese si è lungamente battuto con artisti di calibro e le loro etichette discografiche, che volevano accordi di esclusività. Tutto ciò, comunque, non ne ha fermato la crescita. Sebbene sia attualmente il maggior servizio di musica on demand al mondo, Spotify ha appena raggiunto il profitto, e di poco, perché molti dei suoi ricavi sono spesi nel pagamento delle royalty. Mentre la fascia degli utenti free genera ancora guadagni attraverso la pubblicità, l’ammontare di quanto deriva dai clienti Premium è molto minore. Al momento, i vantaggi nel passare al Premium sono relativamente pochi, e comprendono l’ascolto senza pubblicità e offline e un audio di qualità superiore. I contenuti, però, sono gli stessi. Per contro, Apple limita l’ascolto free a un periodo di prova di tre mesi.
Spotify poteva vantare 50 milioni di abbonati paganti all’inizio di marzo, e altri 50 milioni di utenti free che usano il servizio almeno una volta al mese. Oltre il doppio di quanto ha recentemente dichiarato Apple, ovvero 20 milioni, e molti di più dei 3 milioni dell’altro concorrente Tidal.
Spotify, comunque, resta ferma nella sua opposizione alle esclusive . Troy Carter, capo dei servizi creativi, ha dichiarato lo scorso agosto che le esclusive sono “male per gli artisti, male per i consumatori e male per l’intera industria”. Non la pensano così i rivali, Apple e Tidal, che hanno appoggiato fortemente questa idea. E in pochissimi casi, alcune canzoni e album sono diventati permanentemente esclusivi, come “1989” di Taylor Swift, ancora sotto vincolo ad Apple. Anziché combattere Apple e Tidal per l’esclusività sulle uscite più importanti, Spotify ha investito maggiori risorse nella sua nuova divisione di servizi creativi , un gruppo che lavora con gli artisti per commercializzare le nuove uscite, mettere in vendita i biglietti e organizzare iniziative promozionali; il tutto gratuitamente, mentre alcune etichette lo fanno a caro prezzo.
Spotify sembra più interessata a ottenere maggiori benefici economici per i potenziali investitori, così come le tre grandi etichette discografiche – Universal, Sony e Warner – che hanno una quota minoritaria di azioni nella società hanno tutto l’interesse che l’IPO vada bene. Il modello “freemium” (free e premium), che ha sempre caratterizzato Spotify, sebbene lungi dallo scomparire, potrebbe però vedere allargarsi il divario fra i servizi che la società offre in modo free e premium. Spotify non ha commentato la notizia.
La società sta anche vagliando l’idea di un’offerta “Hi-Fi” dal costo maggiore, allo stesso modo di Tidal, offrendo agli utenti brani in qualità audio lossless (ovvero, senza perdita di qualità). Il prezzo extra da pagare per un ascolto da puristi dell’hi-end sarebbe fra i 5 e i 10 dollari al mese.
Pierluigi Sandonnini