Imparerà a conoscere meglio i propri utenti e i loro gusti, saprà proporre loro nuovi artisti e nuove playlist, analizzerà con minuzia i comportamenti delle platee in ascolto per consolidare il proprio business: Spotify ha acquisito The Echo Nest, startup che già fornisce ai principali servizi di streaming uno sguardo analitico sui flussi di musica che fanno scorrere.
35 milioni di brani sotto analisi per The Echo Nest, al fine di studiare i comportamenti degli utenti e di proporre loro musica che assecondi e ampli i loro interessi, 20 milioni di brani nei database di Spotify, per sfamare gli appetiti di appassionati e ascoltatori casuali: il servizio di streaming, che già da tempo collabora con The Echo Nest per migliorare l’esperienza di ascolto dei propri utenti, potrà ora contare appieno sulle capacità della startup di music intelligence per continuare a migliorarsi e a far crescere il proprio pubblico; The Echo Nest potrà attingere ad una mole ancora maggiore di informazioni estratte da Spotify per affinare le proprie analisi e migliorare i propri algoritmi.
Ma The Echo Nest non lavorerà solo per soddisfare le esigenze di Spotify: l’azienda opera con numerosi concorrenti del servizio di streaming svedese quali eMusic, MOG, VEVO, Twitter Music e Rdio, e continuerà a farlo per onorare i contratti stretti fino ad ora, salvo poi ridiscutere questi accordi in concordanza con gli attori dei mercato coinvolti. The Echo Nest, inoltre, continuerà a mettere a disposizione degli sviluppatori che operano a fini non commerciali la propria API gratuita per creare applicazioni a sfondo musicale: “la community degli sviluppatori è cruciale per il successo sia di Spotify che di The Echo Nest – si spiega nel comunicato con cui è stata annunciata l’acquisizione – e rimarrà una priorità per le due aziende”.
Se i dettagli economici dell’operazione restano riservati, le speculazioni degli analisti si affollano. Con l’acquisizione di The Echo Nest, e quindi abbracciando i numerosissimi clienti della startup, che serve tanto colossi dell’IT come Microsoft e Intel, quanto brand generalisti e solidi come Coca-Cola e Reebok, Spotify si assicura una credibilità e un flusso di entrate alternativo rispetto a quello delle sottoscrizioni degli utenti al proprio promettente servizio di streaming. Un elemento certamente fondamentale per perseguire una strategia finanziaria che sembrerebbe indirizzarla verso l’approdo in Borsa, analogamente a quanto fatto dal servizio concorrente Pandora nel 2011.
Gaia Bottà