Spotify si è improvvisamente trovata nel mezzo del guado e, dopo giorni di polemiche sull’affair Neil Young, ha risposto nel modo più classico con cui le piattaforme rispondono in casi come questi: dimostrando attivismo, ma senza prendere posizione. Le accuse sono infatti relative ad una piattaforma che ospita contenuti evidentemente no-vax nel proprio catalogo podcast, ma che ha voluto difendere questa scelta poiché cruciale: difendere la libertà di espressione significa difendere al tempo stesso la vastità del proprio catalogo e la possibilità di ospitare in modo neutrale e super partes ogni tipo di contenuto.
La dipartita di Neil Young dall’offerta Spotify e le successive polemiche sorte sul caso, però, non potevano essere ignorate. Spotify ha dunque cercato una reazione organizzando una risposta così composta:
- si sono pubblicate le nuove regole della piattaforma, con le quali si puntualizzano le responsabilità degli autori e con cui la piattaforma prende distanza ulteriore dai contenuti;
- si aggiunge un avviso agli episodi dei podcast che parlano di Covid-19, rinviando a pagine che esplicitano una serie di informazioni che possano fare chiarezza sul Covid a partire da dati e statistiche;
- si mettono in evidenza le regole della piattaforma all’interno del pannello per i publisher, così che sia ancor più chiaro come ogni responsabilità sui contenuti debba ricadere sugli autori.
Troppo poco, troppo tardi: è evidente. La presa di posizione di Spotify era per certi versi inevitabile poiché anche la scelta di rimuovere il podcast incriminato avrebbe generato effetti collaterali nocivi, ma gestire meglio l’intera vicenda avrebbe giovato sicuramente al brand. Ora, in mezzo la guado, giocoforza bisogna uscirne: Spotify ha scelto come, ma non sarà né facile, né indolore.