Fin qui per Spotify era stata tutta una questione di software, user experience e profondità del proprio catalogo. Poi è iniziata l’avventura dei podcast e le cose hanno iniziato a complicarsi: d’ora innanzi, infatti, ben maggior importanza andranno ad averla i contenuti, con la piattaforma in qualche modo responsabile di quanto veicolato. Ciò, a maggior ragione, se qualcosa di strano succede su podcast distribuiti in esclusiva e teoricamente pensati per arricchire il valore intrinseco della fruizione su Spotify.
Podcast e disinformazione
Qualcosa di strano sarebbe successo con “Joe Rogan Experience“, podcast che avrebbe portato sulla piattaforma teorie cospirazioniste sul Covid attraverso personaggi noti del mondo negazionista. Una lettera aperta ha ora lanciato l’allarme a Spotify chiedendo una presa di posizione: la firma è quella di una “coalizione di scientisti, medici professionisti, professori, microbiologi, immunologi”.
Un podcast con 11 milioni di ascoltatori ha veicolato un messaggio contro i vaccini, ha distorto la spiegazione dell’mRNA, ha incoraggiato all’uso dell’ivermectina (farmaco assolutamente sconsigliato dalla FDA) e tutto ciò per voce di un personaggio che Twitter ha già anzitempo bocciato. Al netto dei contenuti, a Spotify è contestato il fatto che non sia presente alcuna policy a limitazione dei contenuti veicolati, con piena deresponsabilizzazione della piattaforma e totale libertà di sfruttare la notorietà della stessa per cavalcare pericolose teorie. Nessun limite, semplicemente: nessuna regola, nessuno strumento di analisi a tutela degli ascoltatori.
Difficilmente Spotify potrà far cadere nel vuoto questa accusa, poiché punta dritto al cuore di un servizio sul quale molto si è investito. Non c’è più spazio per il cospirazionismo e Spotify (che non ha certo la quantità di contenuti di Twitter o YouTube) non può fingere di non poter agire. La chiamata alla responsabilità cerca ora risposte.