Spotify ha sempre gestito l’infrastruttura alla base del servizio di streaming in proprio, con una combinazione di diversi servizi: ora, con i suoi 75 milioni di utenti attivi, i suoi 30 milioni di brani e gli oltre 2 miliardi di playlist, la piattaforma ha scelto di affidarsi ai servizi cloud di Google.
“Gestire i propri data center può essere complicato, ma in passato i servizi cloud non erano ancora ad un livello di qualità, performance e costi tale da suggerire che l’opzione cloud fosse significativamente la migliore per Spotfiy a lungo termine”, spiega il responsabile della divisione ingegneristica della piattaforma di streaming. La situazione, però, è mutata: “I servizi di storage, di computing e di rete disponibili dai fornitori cloud sono diventati di pari livello rispetto all’approccio tradizionale in termini di qualità, performance e costi” e per questo motivo la transizione per Spotify è stata naturale.
La scelta è ricaduta su Google in virtù dell’esperienza pregressa, e Spotify si avvarrà delle numerose declinazioni dei servizi di Mountain View per la fornitura del servizi agli utenti e per l’elaborazione e l’analisi dei dati correlati ai contenuti e alla loro fruizione.
Per Google, terza alle spalle di Amazon Web Services, a cui Spotify ha fatto ricorso in passato , e alle spalle di Microsoft Azure, si tratta di una importante conquista dal punto di vista di mercato e di immagine, un accordo che incoraggia il team guidato dalla ex-CEO di VMWare Diane Greene e conferma le intenzioni di Mountain View di fare dei servizi cloud una leva importante del proprio business.
Fra gli osservatori, c’è chi rileva con ironia che Google, con i propri servizi, agevolerà Spotify nel competere con la propria piattaforma di streaming musicale. Per altri, fra cui Om Malik, l’accordo prelude alla zampata di Google, che potrebbe risolvere il problema della concorrenza con l’acquisizione di Spotify.
Gaia Bottà