Nel giro di una manciata di giorni, un’altra accusa che si abbatte su Spotify, un’altra richiesta di risarcimento milionaria: la piattaforma di streaming, secondo la denuncia depositata dall’artista statunitense Melissa Ferrick, abuserebbe del diritto d’autore rendendo disponibili brani musicali senza autorizzazione e senza compensare gli artisti e l’industria che mette a frutto il loro lavoro.
La denuncia di Ferrick ricalca quella depositata alla fine di dicembre dal musicista David Lowery: entrambi chiedono alla giustizia della California di concedere agli artisti di difendere i propri diritti in una class action, di accertare l’illegittimità dei comportamenti di Spotify e di riconoscere a coloro che si associno al procedimento un cospicuo risarcimento per le royalty mancate.
“Spotify sceglie l’opportunismo a discapito delle licenze – recita il testo della denuncia – Mentre la piattaforma ha tratto consistenti profitti dalla musica che vende ai propri abbonati, chi possiede quella musica (in particolare i cantautori e le loro edizioni) non sono stati in grado di ritagliarsi la loro parte di successo perché Spotify usa la loro musica senza pagare”. La musicista stima in 200 milioni di dollari l’entità della somma che Spotify dovrebbe riconoscere agli autori: un primo passo per invertire la tendenza e scoraggiare quella “strategia familiare a molti servizi dedicati alla musica digitale, che prima violano i diritti e poi si limitano a scusarsi”.
Il servizio di streaming, nelle scorse settimane, aveva promesso di lavorare ad un sistema più efficiente per gestire le relazioni e le compensazioni a favore dei detentori dei diritti e si era espresso a propria discolpa chiamando in causa la difficoltà, soprattutto negli Stati Uniti, di reperire “i dati necessari ad individuare il legittimo detentore dei diritti”, dati spesso “mancanti, errati o incompleti”. Ferrick, dal canto suo, ha riferito di non aver tentato di mettersi in contatto con Spotify prima della denuncia, atto che avrebbe potuto regolarizzare la sua posizione: “Sarebbe stato dovere di Spotify ottenere le licenze prima di utilizzare la mia musica”.
Gaia Bottà