Il rapporto settimanale sulla Covid-19 da parte del Ministero della Salute e dell’Istituto Superiore di Sanità raccontano una storia che è estremamente chiara nei numeri e nei fatti, quanto estremamente nebulosa nella percezione collettiva: l’Italia, così come tutta l’Europa, sta andando verso una nuova importante crisi sanitaria che costringerà a più o meno estesi “lockdown”. Ecco la parola che nessuno vuole più pronunciare, preferendo declinazioni quali il “coprifuoco” o le “chiusure chirurgiche” che in ambo i casi richiamano a tristi etimologie di guerra.
State a casa
Il rapporto parla però chiarissimo perché guarda ai numeri, ai fatti, ai report provenienti dagli ospedali: bisogna chiudere. Se non lo fa lo Stato, e se non lo fanno le regioni, lo facciano i cittadini. Il rapporto scrive nero su bianco (usando un significativo grassetto per dare maggiore enfasi all’appello):
È fondamentale che la popolazione riduca tutte le occasioni di contatto con persone al di fuori del proprio nucleo abitativo quando non siano strettamente necessarie e di rimanere a casa quanto più possibile. Si ricorda che è obbligatorio adottare comportamenti individuali rigorosi e rispettare le misure igienico-sanitarie predisposte relative a distanziamento e uso corretto delle mascherine. Si ribadisce la necessità di rispettare le misure raccomandate dalle autorità sanitarie compresi i provvedimenti quarantenari dei contatti stretti dei casi accertati e di isolamento dei casi stessi.
L’indice RT è tornato a livelli estremamente preoccupanti, l’area del Nord ancora una volta colpita in modo particolare (ma con l’area del Sud peggio servita dal punto di vista delle infrastrutture ospedaliere). Dopo aver perso il timone del tracciamento, dopo aver affossato Immuni tra le polemiche fino a sterilizzarne l’utilità, dopo aver notato in ritardo i ritardi delle terapie intensive, dopo aver dato fiato ai peggio complottismi ed alla peggio politica, l’Italia si trova così ora a dover percorrere una via estremamente tortuosa: si chiuda tutto, tranne che scuola e lavoro possibilmente. Per limitare i danni, laddove possibile.
“Come” è difficile a dirsi. Le scuole sono state rimodulate per approcciare la DAD e svuotare i mezzi pubblici, mentre la PA è già passata ad un maggiorato smart working per medesime finalità. Ora tocca ai cittadini: le aziende che possono intraprendere questa scelta debbono rapidamente organizzarsi per il lavoro da casa (presto o tardi arriverà comunque una qualche formula coercitiva), mentre ai privati si chiede di uscire il meno possibile, in ogni caso non dopo le 23, e solo per strette necessità.
Non si dice la parola “lockdown” perché suona come un brivido freddo sulla spina dorsale di un paese che si scopre debole, ma se si guarda al mondo intero è chiaro come le debolezze siano di un intero sistema e colpiscano a livello globale senza fare troppe differenze. Servirà molta calma e molta pazienza perché una lunga stagione di difficoltà è appena iniziata.
Covid-19: tutti i dati ufficiali
La scienza, inascoltata, ha provato ad avvisare su quanto sarebbe accaduto; 100 scienziati hanno scritto ora ai vertici dello Stato per chiedere interventi radicali e urgenti; gli esperimenti scientifici sono diventati cronaca quotidiana in attesa di un vaccino che possa accendere una luce in fondo al tunnel. In tutto ciò ancora troppa poca gente ascolta e capisce la scienza, preferendo politica e talk show, social media e “ho sentito che”. Rispetto a marzo abbiamo tutti mascherine, sappiamo tutto sulle misure di contenimento, conosciamo perfettamente cosa dovremmo fare per rallentare questa seconda ondata, ed invece rischiamo di restarne travolti ancora di più e con effetti maggiormente duraturi.
“State a casa”, ci chiede l’ISS. Poche parole per suggerire a tutti di isolarsi. Chiunque, guardando alla propria situazione, immagini soluzioni per la propria singola bolla: ci si organizzi per lavorare da casa, si suggeriscano soluzioni in azienda, ci si metta a disposizione dei colleghi per immaginare una riorganizzazione. E intanto si pensi ai propri ragazzi, a chi dovrà affrontare una nuova stagione difficile, a quanti saranno sopraffatti da questo tsunami sanitario ed economico.
“State a casa” ha un tono paternalistico che qualcuno vuole leggere come dittatoriale. Ma qui lo stare a casa è l’unica vera soluzione che abbiamo come collettività per allontanare qualcosa che ci ha messo per due volte con le spalle al muro nel giro della stessa annata. Scoprirsi deboli è umiliante, ma forse è da un’umiliazione da cui potranno nascere soluzioni più sensate che non un’estate passata ad ignorare quel che tutte le statistiche ci stavano già urlando. Siamo dalla parte del torto e ne pagheremo le conseguenze. Inevitabilmente. Siamo però ancora in tempo per limitare i danni, purché la presa di coscienza sia immediata, come un sonoro schiaffo che schiarisce le idee.
“State a casa”.
Facciamolo. Stiamo a casa.