Negli Stati Uniti il Dipartimento di Giustizia e l’FBI hanno reso note in via ufficiale le 16 accuse mosse nei confronti di Huawei così come di alcune sue aziende controllate e di Meng Wanzhou, la CFO arrestata in Canada e fine 2018 e ora in attesa di un giudizio per la richiesta di estradizione negli USA. Un nuovo capitolo nella sempre più lunga e complessa vicenda che vede Washington e il gruppo cinese ormai da tempo ai ferri corti.
Huawei: le 16 accuse degli USA
Alla società viene anzitutto attribuita la violazione del RICO (Racketeer Influenced and Corrupt Organizations Act), impianto normativo in vigore oltreoceano fin dal 1970 e introdotto con l’obiettivo preciso di contrastare il crimine organizzato.
Ci sono riferimenti a pratiche attuate nel corso degli ultimi due decenni che tra le altre cose hanno portato alla sottrazione di segreti industriali e proprietà intellettuali al fine di far crescere il business dell’azienda cinese. In passato su queste pagine abbiamo scritto tra le altre cose delle vicende riguardanti la tecnologia Miraj Diamond Glass di Akhan Semiconductor e il robot Tappy di T-Mobile per il test degli smartphone. Rimandiamo ai singoli articoli per approfondimenti.
Tra i capi d’imputazione anche quello per il furto del codice sorgente di un software impiegato nei router di una non meglio specificata società statunitense (con tutta probabilità Cisco) destinato poi a prodotti Huawei.
Spionaggio industriale e sanzioni commerciali
Vengono inoltre descritte vere e proprie azioni di spionaggio. Una di queste attuata in occasione di un evento organizzato a Chicago quando un ingegnere appartenente a un’azienda affiliata a Huawei è stato scoperto dopo la chiusura serale dello show nello stand di un concorrente, intento a rimuovere la cover di un dispositivo di rete per fotografarne le componenti interne. Sul caso il gruppo di Shenzhen è già intervenuto affermando che l’ha fatto di sua spontanea volontà.
Un altro caso cita la condivisione non autorizzata tra i propri ingegneri della presentazione ricevuta da una realtà esterna e chiaramente etichettata come “confidenziale”. I dettagli in essa contenuti sarebbero poi stati passati al vaglio per un eventuale impiego della tecnologia descritta nei prototipi di Huawei. Ancora, si parla di bonus economici assegnati su base mensile a dipendenti e collaboratori capaci di sottrarre alla concorrenza informazioni riservate con la stessa finalità.
Al quadro si aggiungono le presunte collaborazioni della società cinese con realtà presenti in Iran e Corea del Nord, organizzate in modo attento al fine di rimanere nascoste così da non far scattare l’allarme per la violazione delle sanzioni commerciali stabilite dagli USA nei confronti di questi paesi. Molto dure le parole affidate a un comunicato congiunto da Richard Burr e Mark Warner, senatori membri dell’organismo parlamentare Senate Select Committee on Intelligence.
Le accuse dipingono lo scioccante ritratto di un’organizzazione illegittima che manca di qualsiasi riguardo nei confronti della legge.
La replica di Huawei
La replica del gruppo di Shenzhen non si è fatta attendere (la riportiamo di seguito in forma tradotta). Come già accaduto in passato l’azienda ribadisce l’infondatezza delle accuse.
Questa nuova imputazione fa parte di un tentativo del Dipartimento di Giustizia di danneggiare irrevocabilmente la reputazione e il business di Huawei per ragioni legate alla concorrenza e non all’applicazione della legge. La “impresa di racket” di cui parla oggi il governo altro non è che un artificioso riconfezionamento di alcune cause civili vecchie quasi vent’anni e che non hanno mai costituito la base per alcun giudizio significativo dal punto di vista monetario contro Huawei. Il governo non prevarrà con queste accuse che dimostreremo essere sia infondate sia scorrette.
Il documento da 56 pagine pubblicato da Dipartimento della Giustizia e FBI fa riferimento, oltre alla già citata Meng Wanzhou, a Huawei Technologies, Huawei Device, Huawei Device Usa, Futurewei Technologies e Skycom Tech. Tutto questo mentre il ban imposto nel maggio scorso rimane in vigore e rischia anzi di rafforzarsi, senza dimenticare le discussioni in merito al coinvolgimento del gruppo cinese nella fornitura delle apparecchiature destinate alle reti 5G che stanno tenendo banco anche in Europa.