L’ultimo capitolo della saga di Qtrax , la piattaforma musicale gratuita che avrebbe dovuto sopravvivere con la sola pubblicità, non si è ancora concluso. Allan Klepfisz, CEO dell’azienda che ha dato un nuovo bouquet alla parola “fiasco”, ha raccontato ad Ars Technica la sua versione dei fatti durante il recente Digital Forum East di New York.
“Difficile immaginare come un’azienda che ha speso silenziosamente gli ultimi cinque anni nel cercare di ottenere le licenze decida immediatamente di partire senza aver raggiunto l’obiettivo: eppure è successo”, sostiene il redattore della nota testata.
Klepfisz ha ammesso che al lancio vi erano ancora dei “problemi”. Questioni che ovviamente non sono ancora state risolte, ma che fanno credere al baldanzoso CEO che sia solo una questione di tempo. Durante il mega-evento di presentazione si era sentito eccitato per la situazione e contemporaneamente supportato dalle major. Ma allora cos’è andato storto? Non è lecito saperlo, perché Klepfisz preferisce concentrarsi sui lati positivi della vicenda.
Qtrax, dopo la presentazione, parrebbe essere diventato il 742esimo sito più trafficato della storia web con “22 mila visitatori per millisecondo”. Un’altra bufala? Sono solo 500 mila i client software scaricati.
“La risposta al servizio è stata senza precedenti. L’abbiamo lanciato al MIDEM, l’evento di riferimento per l’industria musicale, proprio per il livello di supporto che abbiamo avuto e continuiamo ad avere dai possessori dei diritti”, ha dichiarato Klepfisz, secondo quando riportato su Silicon Alley Insider . “Crediamo che l’esatta natura di questa collaborazione sarà chiarita pubblicamente a breve. Dato che siamo il primo servizio P2P musicale legale al mondo che ha deciso di spendere quattro anni e mezzo sulle licenze e non violare quindi i diritti di proprietà intellettuale, abbiamo deciso che forniremo presto le chiavi di attivazione, appena siglati tutti i contenuti pertinenti”.
Klepfisz è stato chiaro anche su un’altra questione: a suo parere un servizio musicale di questo genere non può reggersi esclusivamente sulla vendita pubblicitaria. La redditività dei banner è ancora troppo bassa per ripagare le etichette discografiche, o comunque per soddisfare le loro richieste. L’unica strada percorribile è quella di bombardare di spot l’utente fino a quando non si raggiungono i 50/70 centesimi di dollaro richiesti per traccia.
Dario d’Elia