Roma – L’ iTunes Music Store di Apple si sta rivelando un grande ed inaspettato successo. In sole otto settimane, gli amanti della Mela hanno pagato più di 5 milioni di canzoni.
Certo, sorprende vedere tutta questa gente pagare per ciò che altrove potrebbero avere gratis, anche se in modo illegale. Ma sorprende ancor di più vedere che nessuno ha capito cosa sta succedendo e cosa succederà. La riprova? BuyMusic.com .
Una nuova società del gruppo Buy.com , BuyMusic.com è costruita interamente con software proprietario Microsoft e mira a replicare il successo iniziale dell’iTunes Music Store presso il grande pubblico che usa Windows come sistema operativo. Con 40 milioni di dollari da spendere in marketing sarà un gioco da ragazzi, sembrano pensare.
Io ho i miei dubbi. Innanzitutto, non mi sembra che Buy.com sia stato un grande successo e non mi fido molto del loro boss, l’imprenditore in serie Scott Blum. In secondo luogo, mi sembra davvero molto 1999 sbandierare in questa maniera il proprio budget di marketing.
In terzo luogo, mi sembra che BuyMusic.com stia sottovalutando le differenze fra il pubblico Windows e quello degli amanti della Mela, che in generale tendono ad essere persone per bene, che spendono molto in prodotti informatici e che amano Steve Jobs alla follia.
Infine, la cosa più importante: nessuno sembra aver capito cosa ha in testa Steve Jobs e la portata dell’entrata di Apple in questo business. Finalmente ha messo la testa a posto, avranno detto nei palazzi della RIAA. Molti invece gli hanno già dato del traditore.
A mio avviso, dimenticano da dove viene, le sue idee libertarie e lo spirito artistico della sua azienda. Apple non sta investendo 40 milioni di dollari in improbabili campagne marketing per costruire un’altra versione dei fallimentari PressPlay, MusicNet e compagnia.
Apple sta sì parlando con Amazon – non con Buy.com, vale la pena di sottolineare – ma dubito stia cercando solo un pur formidabile partner per la distribuzione. Soprattutto, Apple non sta parlando solo con Amazon e con le Major, ma anche con numerose etichette indipendenti.
Ed eccolo, il Cavallo di Troia che le Major sembrano non vedere: è più pericoloso un servizio a pagamento come l’iTunes Music Store che non un servizio gratuito e pirata come i vari Kazaa, e compagnia. Privi di un modello di business e di soldi, questi non possono investire nel futuro.
Al contrario di Napster, Apple non è una start-up con l’acqua alla gola. Vendendo musica in pieno accordo con le Major, non ha problemi di tipo legale. Infine, può concedersi il lusso di trattare l’iTunes Music Store come un esperimento, un’attività con costi non altissimi e che non deve necessariamente ripagarsi da sé perché serve comunque a vendere più iPod – già oltre 1 milione di pezzi – e a entrare nel business dell’ hi-fi.
Ma torniamo alla musica. Cosa succede se mettiamo insieme Apple ed Amazon? Semplice: le Major sono finite. Certo, estenderanno pure i diritti sulle canzoni dei Beatles fino al 2000 d.N. (dopo Napster) e continueranno a guadagnare milioni e milioni di euro sulle vecchie canzoni, ma non conteranno più nulla riguardo a come la nuova musica verrà prodotta e distribuita. Forse è davvero la fine di un’era.
Amazon infatti non è solo il più grande e-tailer del mondo, ma anche un sito che ha fatto un’arte del collaborative filtering, quel meccanismo che permette di confrontare i miei gusti con quelli di persone che sembrano avere gusti simili ai miei e di suggerirmi quindi altri libri o cd che potrebbero interessarmi – visto che piacciono a chi sembra avere gusti simili ai miei. Ora, cosa succede se combino tanta nuova musica indipendente che nessuno conosce ancora con questo potente strumento e con una base di 30 milioni di clienti come quella di Amazon?
Semplice: questa musica potrà finalmente trovare il suo pubblico, e questo pubblico la sua musica. Senza marketing, senza scouting, senza tutti quegli intermediari che hanno senso solo in un mondo di mass marketing e distribuzione di massa dove gli unici album che hanno valore (economico) sono i blockbuster, quelli che vendono milioni di copie, e dove quindi devo cercare di promuovere non i veri artisti, la miglior musica e le avanguardie, ma i musicisti aspiranti milionari, quelli più belli e telegenici, più malleabili, più disposti a svendersi e a creare della musica orecchiabile che piacerà a tutti e che porterà tanti soldi in cassa senza correre troppi rischi.
Ecco allora che forse Steve Jobs non si è venduto alla RIAA. Tutt’altro. Da un lato, sta usando la musica per allargare il mercato di Apple a nuovi clienti e a nuovi tipi di prodotti. Dall’altro, forse riuscirà a cambiare faccia al business della musica una volta per tutte. Attraverso l’iTunes Music Store, Apple potrebbe diventare la prima, grande casa discografica della nuova generazione – e l’unica per la quale vendere 1,000 copie cd di 1,000 gruppi diversi e magari bravissimi ma sconosciuti è uguale a vendere 1 milione di copie di un solo gruppo. Fine dello star system? Niente di strano, se ci pensi. L’avventura era partita proprio da lì, da una casa discografica creata dai Beatles per promuovere nuovi artisti. E c’è già una causa in corso…
Massimo Moruzzi
responsabile di meetic.it
e dot-coma
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