Una volta superato l’ imbarazzo iniziale Google sembra aver fatto luce sulla faccenda riguardante l’accumulo di dati di traffico effettuato impropriamente dalle Googlecar impegnate nella mappatura degli indirizzi MAC, le sequenze numeriche che identificano univocamente qualsiasi periferica connessa alla Rete.
“Si è trattato di un errore – si sono giustificati dal Googleplex – dovuto a un codice sperimentale scritto nel 2006 in grado di catturare porzioni di dati trasmessi via WiFi”. Evidentemente questo codice è finito in qualche modo nella dotazione delle automobili targate Mountain View tornate di recente a percorrere i vicoli delle grandi città, già fotografate, per portare a compimento un progetto scaturito dalla mente del mobile team di BigG: la localizzazione degli indirizzi MAC e nomi delle reti individuate (SSID).
In presenza di reti wireless non protette, quella che Google ha definito come una svista ha portato tuttavia all’ accumulazione di una quantità ancora non precisata di dati personali come cronologie delle pagine web, email e altre informazioni che nessuno si sarebbe aspettato potessero essere intercettati dalle Googlecar, le quali nella loro carriera sono già state colpite da una serie di denunce per violazione della privacy, relative però alle immagini immortalate. Le ultime rimostranze, la bacchettata europea e quella di Electronic Frontiers Association (EFA) e Australia Privacy Foundation (APF), hanno per oggetto una serie di dati meno visivi ma non certo meno insidiosi.
Se ne era parlato poco e d’altronde i responsabili del progetto non avevano affatto idea, secondo Google, di registrare dati provenienti da “automobili in movimento che rimangono nel raggio d’azione di un’antenna WiFi per non più di cinque secondi”. Una volta appurato il problema è partito da Mountain View l’ordine di fermare immediatamente tutte le Googlecar impegnate in questa opera: “Mantenere la fiducia delle persone è fondamentale in ogni cosa che facciamo – ha dichiarato Alan Eustace, dirigente di BigG – ma stavolta abbiamo fallito”.
Per risanare questa ferita, che ha evidenziato i rischi derivati dalla non protezione dei propri network , Google chiederà a un team di esperti neutrali di valutare l’entità del danno e chiarire la dinamica che lo ha provocato, seguirà inoltre una profonda revisione delle procedure standard per far sì che non accadano mai più inconvenienti del genere. Dopo lo scivolone con Buzz, Google sembra avere un’estrema necessità di riguadagnarsi la fiducia degli utenti che, come dimostra la recente bocciatura di Gmail da parte dell’Università della California come client ufficiale dell’ateneo.
Giorgio Pontico