Google non ha commesso alcun reato sguinzagliando per la Pennsylvania le proprie automobili dotate di cam rotanti, non è colpevole di aver sconfinato in una proprietà privata o di aver calpestato il diritto alla privacy di cittadini la cui abitazione è comparsa su Street View.
Aaron e Christine Boring, coniugi di Pittsburgh, si erano avventati nei mesi scorsi contro la Grande G: non avevano gradito la presenza delle occhiute cam posizionate sui tettucci delle automobili di Google, non tolleravano lo sconfinamento dell’incauto autista che, concentrato nella mappatura fotografica del territorio, aveva imboccato una strada privata e aveva catturato le immagini dell’abitazione dei Boring. Sbattute online per soddisfare la curiosità di frotte di netizen.
Erano stati i primi a denunciare Google: accusavano Mountain View di violazione della privacy e di violazione della proprietà privata , comportamenti messi in atto con troppa leggerezza e dettati dall’irresponsabilità del piano di mappatura, comportamenti che avrebbero garantito all’azienda tangibili vantaggi economici. Non si erano avvalsi della possibilità di chiedere a Google la rimozione dell’immagine, procedimento a cui lo staff di Street View avrebbe provveduto con tempestività. Avevano però chiesto che un tribunale costringesse Google a corrispondere loro 25mila dollari: una somma a titolo di risarcimento per le violazioni che avrebbero inflitto loro danni morali , una compensazione per la svalutazione che l’immobile avrebbe subito, una volta esposto online.
Il giudice incaricato di valutare il caso ha sbaragliato ogni capo di accusa, ha stabilito che le imputazioni non sono sostenibili . I coniugi Boring, ha spiegato il magistrato, non sembrano essersi preoccupati di contenere la circolazione dell’immagine della propria abitazione: la visibilità che la coppia si è guadagnata, di fatto la denuncia, la circostanza che la foto della casa sia disseminata in un’infinità di pagine web, dimostrerebbe che Google non avrebbe inferto loro una sofferenza che merita di esser compensata con del denaro. Google, dal canto suo, non avrebbe violato la proprietà privata perché il suo sconfinamento sarebbe stato involontario: lo dimostra l’ammissione di colpa della dirigente Marissa Mayer, che ha in passato ammesso la fallibilità del personale che ha il compito di immortalare vicoli e strade.
Si è chiuso il caso intentato dai coniugi Boring, ma sono ancora numerosi i cittadini che lamentano l’invadenza dei servizi di mappatura di Google. Se in Europa si discute riguardo allo status legale del servizio, se c’è chi minaccia di imbracciare leggi e regolamenti comunali pur di non permettere a Google di catturare e pubblicare frammenti di quotidianità, in Giappone si batte la strada della mediazione. Sensibili alla preoccupazione nutrita dai cittadini nei confronti delle violazioni della riservatezza in spazi pubblici, le autorità giapponesi hanno invitato Google al confronto: chiedono alla Grande G che, prima di aggirarsi per i centri abitati, avverta i cittadini.
Gaia Bottà