Chi ha detto che RFID significa rischio per la privacy ? Mentre in Italia si cerca di far luce sulla questione, molto più avanti si è spinta l’ Università di Washington , che ha distribuito tag RFID agli studenti e installato antenne ovunque, in Ateneo. Ne è risultata una specialissima social network dai risvolti inaspettati, addirittura un intero ecosistema . Un ambiente elettronico che consentirà a ciascuno di conoscere gli spostamenti e la localizzazione degli altri.
Il software di gestione della rete impiega un sistema di riconoscimento probabilistico delle attività, associando persone, oggetti e luoghi taggati per tentare di individuare il più probabile degli eventi che potrebbe essere in atto. Al momento, il programma ha ancora difficoltà a stabilire se due persone sono vicine perché avevano programmato un incontro o perché, casualmente, si trovano insieme nella stessa stanza. Questa “debolezza” viene sfruttata dal team per condurre una sorta di “campionatura di esperienze” dei partecipanti, con il fine di verificarne i dati e indagare sugli aspetti legati alla privacy: “Finora nessuno ha agito con con intenzioni malevole, ma preferiamo essere pronti”, dicono i responsabili del progetto.
“Il progetto – si legge sulla homepage dedicata – indaga sui sistemi RFID incentrati sull’utente, insieme agli aspetti tecnologici, sociali e legati al business. In passato le ricerche sulle applicazioni dei tag RFID si sono limitate ad analizzare tecnologie poco lungimiranti e ad affrontare studi sull’utenza in scenari circoscritti. Al contrario, l’ecosistema RFID offre un laboratorio vivente per ricerche approfondite a lungo termine su applicazioni, archivi, privacy, sicurezza e sistemi”.
Dunque, uno scenario molto ampio, che abbraccia la tecnologia nel suo complesso, individuandone tanto gli aspetti positivi quanto quelli negativi. “Il nostro obiettivo è chiederci quali benefici possiamo trarre da questa tecnologia e come, nello stesso momento, proteggere la privacy delle persone”, dice al Guardian Magda Balazinska, capo progetto e docente di Ingegneria Informatica dell’Ateneo. “Vogliamo tenerci agganciati alle problematiche legate alla privacy, che potrebbero emergere qualora simili sistemi dovessero divenire realtà”.
Magda Balazinska e una dozzina di membri del team portano con sé i tag già da un anno. I dati vengono raccolti in un archivio centrale e travasati in applicazioni come Google Calendar e in un apposito widget per Twitter , battezzato RFIDder , da cui si diramano gli “allarmi” che dicono se gli “amici” sono in un meeting o si sono seduti per pranzare. Viene anche generato un log ad ogni incontro tra i partecipanti al progetto.
Non c’è alcun obbligo . Lo spiega Gaetano Borriello, altro docente dietro al progetto: “Se qualcuno sceglie di partecipare, può comunque decidere per l’ opt-out in qualsiasi momento. L’interfaccia inoltre consente all’utenza di decidere il livello di accesso da permettere agli altri e in base a tale livello gli altri utenti potranno conoscere dettagli più o meno approfonditi. Se – come speriamo – si rivelerà utile, diventerà parte integrante dell’edificio”.
Per coloro che vogliano approfondire questa singolare ricerca, l’Università di Washington mette a disposizione una documentazione molto approfondita e una nutrita serie di presentazioni , tutte in formato PDF.
Marco Valerio Principato