Omicidio di primo grado: questa l’accusa con cui sono stati incriminati la 23enne Nicole Okrzesik e il suo fidanzato James Ayers, 32 anni, originari di Fort Lauderdale (Florida) e rei di aver strangolato una loro amica – Juliana Mensch, di 19 anni – mentre dormiva nel loro appartamento. I due avevano in precedenza chiesto “consigli” online sulle modalità con cui perpetrare il delitto (in particolare su Google e Ask.com ), con query del genere “tutti i modi per uccidere le persone nel sonno” o “come soffocare e avvelenare qualcuno”.
La polizia ha inoltre intercettato alcuni SMS inviati da Ayers alla sua compagna e complice, in cui l’uomo si lamentava dello “scarso aiuto” da lei ricevuto nel disfarsi del cadavere di Juliana Mensch e minacciava di andare alla polizia e raccontare tutto. La “ciliegina sulla torta” è stata però la serie di messaggi che i due si erano scambiati su Facebook riguardo al delitto e alcune foto che li ritraevano felici in un pub e postate sul social network poche ore dopo.
Vista la mole di tracce lasciate online dai due autori dell’omicidio, qualcuno si azzarda tirare in ballo una questione a metà tra fantascienza e realtà: citando la pre-crimine di Minority Report , viene ipotizzata la possibilità di prevenire questo tipo di reati avvalendosi degli indizi seminati online dai potenziali trasgressori in cerca di “ispirazione”. Un approccio già sperimentato da alcune polizie d’Oltreoceano, ma che si scontra inevitabilmente con mai confutati dubbi sulla liceità di pratiche di questo tipo potenzialmente lesive della privacy. Tanto più che queste tecniche al momento sono in grado di fornire informazione generiche su luoghi dove un crimine è più probabile che venga perpetrato, più che su chi sia effettivamente colpevole o su quando decida di agire.
In teoria, se la pre-crimine funzionasse anche per gli omicidi, Google e Ask.com avrebbero marcato in tempo reale le query di ricerca della Okrzesik come “sospette” e avrebbero inviato una segnalazione alla polizia con l’indirizzo della donna. Agenti di pattuglia nella zona avrebbero fatto quindi irruzione nell’abitazione, magari cogliendo i due sul fatto e arrestandoli prima che uccidessero la loro vittima.
Nella realtà le cose vanno diversamente. La polizia avrebbe bisogno di un accesso immediato ai dati di ricerca e di associare immediatamente il dispositivo utilizzato a un domicilio fisico. Invece i record elettronici vengono consultati solo dopo che un crimine è stato commesso e dopo aver raccolto indizi sufficienti ad ottenere un mandato, ovvero la polizia è naturalmente soggetta alla autorizzazione di un giudice. I dati registrati non vengono così usati per prevenire il verificarsi dei reati, bensì per avere materiale per procedere all’incriminazione o alla condanna.
Cristiano Vaccarella