Roma – Leggendo il comunicato stampa di Agcom che annunciava il regolamento per il WiMax sono rimasto, nonostante tutte le email allarmate che mi sono arrivate, piacevolmente indifferente perché mi sono liberato da una sensazione molto sgradevole. L’incertezza, il dubbio, sono in qualche modo peggiori della certezza più nefasta. Agcom per il WiMax ha prodotto un regolamento da medioevo della Società dell’Informazione ; ovvero un regolamento basato su principi tecnologici di gestione dello spettro concepiti in USA prima ancora che fosse inventato il transistor, e che già sappiamo essere obsoleti; e principi sociali analoghi a quelli con cui il bullo di quartiere nella Roma papale decideva arbitrariamente durante la passatella chi doveva bere e chi no.
Nei mesi passati ancora più che negli anni precedenti da Agcom ne avevamo viste di cotte e di crude: Agcom che a detta del TAR garantisce il monopolista piuttosto che la concorrenza, Agcom che all’estero qualcuno considera il principale problema delle TLC italiane a causa della sua forte politicizzazione, il Corriere della Sera che si domanda senza mezzi termini a cosa serva, Agcom che annuncia più volte provvedimenti e date importantissimi che poi – forse a causa di pressioni a noi ignote – ritratta o ritarda fino all’inutilità dei provvedimenti stessi a causa del mutato assetto socio-economico. Insomma, fintanto che non avevamo elementi solidi per capire l’orientamento delle istituzioni credevamo poco in Agcom ma avevamo comunque la speranza di cambiamento grazie anche a quel programma elettorale (“Per il bene dell’Italia”) che prima del voto ci aveva illuso.
Oggi siamo invece oramai certi che, come fu per l’UMTS , anche il WiMax sarà letteralmente castrato in barba a qualsiasi principio di pragmatismo, concorrenza e in barba pure alle necessità di sviluppo del nostro paese; in definitiva oggi nonostante una tecnica migliore, siamo (ancora) meno liberi. E questo nelle TLC al momento l’ha concretizzato più di chiunque altro proprio l’authority che è stata creata appositamente per garantire, agendo sulla regolazione del mercato, l’indotto derivante dalle TLC; un paradosso.
Perché il WiMax sarà castrato? Perché le due grandi peculiarità del WiMax, insieme alla sua economicità di cui garantiranno i soli operatori e non i loro clienti, sono la copertura di grandi distanze e la capacità di garantire qualità di servizio (anche a velocità di automobile); e con quel regolamento non verranno sfruttate, riducendo esponenzialmente il beneficio che la nazione ne trae sia in termini di benessere generale che di ricchezza individuale.
Con quel regolamento il WiMax andrà a sovrapporsi al WiFi per quanto concerne l’accesso locale alla rete, e contestualmente non andrà a competere con il GSM per quanto concerne la mobilità. Il WiMax cioè sarà usato esclusivamente dalle telco – grandi certamente, ma anche piccole, in ogni caso poche – per estendere la mano longa in modo per loro molto economico, in tutte quelle zone – territorio, ma anche porzioni consistenti del tessuto sociale – dove non sono ancora arrivate.
Nel caso del WiMax le telco fisse e mobili hanno ottenuto da Agcom ben tre piccioni con una fava: non creare un varco nell’ arrocco degli operatori mobili, non permettere ai piccoli WISP esistenti e futuri – i wireless internet service provider – di poter estendere la copertura delle proprie reti aumentando la propria competitività con le grandi telco, ed evitare che il WiMax possa essere messo a frutto dai singoli cittadini.
Con una metafora apparsa durante la discussione sulla lista ISOC ad inizio anno: monopolizzando la produzione di grano, non potete scegliere di farvi il pane e la pasta in casa o comprare pane e pasta dal negozietto artigianale sotto casa, ma potete solo comprare prodotti a più bassa qualità nei supermercati dalla grande distribuzione organizzata. Quale libertà è questa? Cosa è successo?
I grandi operatori a proposito di WiMax non hanno proferito verbo perché in genere preferiscono esprimersi in altro modo, come ad esempio pagare – loro, unici, lo possono fare – e mettere a disposizione dei decisori studi e pareri autorevoli che implicitamente fanno il loro interesse. Invece Dario Denni di AIIP diceva che “è indispensabile che il blocco attualmente disponibile, sia assegnato ad un unico operatore”; e ovviamente non credo che per unico operatore intendesse qualcuno all’infuori di AIIP.
Fulvio Sarzana S. Ippolito ha espresso due dubbi riguardo all’open spectrum, uno che ricalca l’idea espressa dall’Ing. Dino Bortolotto – vice-presidente Assoprovider, di cui il giurista è per altro consulente storico – e uno dal punto di vista squisitamente giuridico. Il primo dubbio è che il mercato venga letteralmente occupato dalle Pubbliche Amministrazioni locali le quali, come avviene già oggi, favoriscono arbitrariamente poche società private conniventi con amministratori pubblici; il secondo, cruccio costante dei giuristi e usato spesso come spauracchio contro noi ignoranti del diritto, è il timore che un’assenza di regolamentazione – es: spettro unlicensed – possa riportarci ad uno scenario da far west dove cioè il caos può rendere inutilizzabile lo spettro radio mentre invece un approccio normativo orientato al liberismo economico e l’ottimo paretiano porterebbe certamente risultati concreti.
Personalmente, fermo restando che se il mio comune desse connettività universale entry level a costo zero o comunque popolare ne sarei felice perché è l’unico modo per superare il digital divide per analfabetismo informatico , ritengo che entrambi i problemi siano estremamente concreti ma rientrino in un contesto più ampio dove qualsiasi attività della pubblica amministrazione – non solo l’ICT – oggi è criminalmente assoggettata alle logiche familiari del politico decisore piuttosto che all’interesse pubblico.
È comunque l’assegnazione delle licenze individuali, il modello tradizionale, che non ha garantito né l’accesso a chi aveva tutte la carte in regola per arrivare ad utilizzare lo spettro – si veda ad esempio il caso clamoroso di Europa 7 – né lo svolgimento trasparente e profittevole delle gare indette per assegnare altre porzioni dello spettro radio – cfr. asta UMTS – né ancora una pluralità di attori necessaria ad avere una concorrenza adeguata – cfr. prezzo SMS e telefonia mobile in generale – e quindi un libero mercato salubre; né l’efficienza di sfruttamento delle risorse di cui disponiamo. È il modello tradizionale di gestione a non garantire quello di cui abbiamo bisogno e l’open spectrum non è assenza di regolamentazione .
Quanto alla combinazione di liberismo economico e ottimo paretiano, il primio Nobel per l’economia Amartya Sen ha già dimostrato matematicamente quasi 40 anni fa che è impossibile, in quanto paradossalmente – Paradosso Liberale – cercare di realizzare quel sistema socio-economico porta a situazioni in cui “al più un solo individuo ha garanzia dei suoi diritti” quando la teoria invece vorrebbe che il sistema liberale porti ad un equilibrio tra entità in competizione mentre l’ottimo paretiano al massimo della somma delle felicità di tutti. Ragionare oggi in termini di liberismo e ottimo paretiano è quindi controproducente o, a pensar male, demagocico: chi lo dice al Ministro Bersani?
In Europa la Commissione – tradizionalmente vicina alle lobby e, in tema di spettro radio, conforme alla posizione ufficiale di quell’industria europea associata in ECTA – ha espresso un orientamento ed ha stimolato il dibattito con la COM(2005)400. In questa comunicazione “al consiglio, al parlamento europeo, al comitato economico e sociale europeo, e al comitato delle regioni” si invitava ad esprimersi a favore di un “approccio basato sul mercato in materia di gestione dello spettro radioelettrico nell’Unione europea”. Il metodo classico per il regolamento consiste – si legge nella citata comunicazione della Commissione Europea – nel “designare gli utilizzatori che saranno autorizzati a sfruttare lo spettro disponibile e nel definire le modalità di utilizzo”. La Commissione metteva in risalto come la “rapidità dell’evoluzione tecnologica e la convergenza delle comunicazioni, dei contenuti multimediali e dei dispositivi elettronici creano un ambiente dinamico all’interno del quale lo spettro tende a divenire una risorsa sempre più importante” e dunque ” il metodo classico rischia seriamente d’impedire alla società di trarre profitto da questo nuovo ambiente dinamico”.
Questo perché concedendo licenze individuali, proprio questi “diritti individuali proibiscono implicitamente o espressamente l’utilizzo di altre tecnologie o la fornitura di altri servizi”; proprio come è accaduto con l’UMTS.
L’obiettivo della Commissione sembrava essere di scongiurare un “approccio frammentato alla riforma dello spettro” – frammentato nel senso di diverso da paese a paese – in vista di una riforma comune della gestione dello spettro radio. E nel concreto indicava che un “volume importante di risorse spettrali, per esempio circa un terzo dello spettro al di sotto dei 3 GHz (la gamma di frequenze più adatta alle comunicazioni terrestri), potrebbe essere assoggettato a un regime di scambio e di utilizzo flessibile”. Dove per flessibilità si intende, in linea con il volere dell’industria, permettere lo scambio di frequenze tra privati lì dove oggi invece avvengono soltanto concessioni da Stato a privati e ritorno; ma attenzione dico io, questo è positivo se e solo se lo spettro comunque non diventa merce soggetta ad un diritto di proprietà.
La Commissione diceva anche che un’altra valida alternativa al metodo classico è l’open spectrum, definito come “modello senza autorizzazione, che offre una flessibilità ancora maggiore garantendo la libertà di accesso nel rispetto di alcune limitazioni tecniche”. In definitiva aggiungeva che “tutti i modelli di gestione sono utili ed è opportuno combinarli adeguatamente per realizzare gli obiettivi delle politiche dell’UE”. Il dibattito da allora sta procedendo spedito ma due certezze collegialmente riconosciute già ci sono: il modello tradizionale di gestione è estremamente limitante per lo sviluppo e proprio la rigida concessione a lungo termine di diritti individuali alle telco impedisce lo sfruttamento – e quindi i benefici derivati – delle nuove tecnologie .
A livello nazionale gli esperti di ISOC Italia, rilevando indirettamente tante voci autorevoli così come il mood internettiano, avevano raccomandato l’uso di “un sistema aperto e progressivo” perché “solo in questo modo WiMax potrà concretamente aiutare a migliorare l’accesso a l’INTERNET per tutti i cittadini” e quindi nel concreto suggerivano “che un lotto il più ampio possibile di frequenze interessate dalla tecnologia Wi- Max (3.4÷3.6 GHz) rimanga di libero utilizzo, per garantire un accesso base dei cittadini ai servizi pubblici offerti tramite INTERNET”. Anche qui dunque come in Europa leggiamo la necessità di cambiare metodo di gestione al fine di aumentare la flessibilità, e inoltre di lasciare più spazio possibile all’open spectrum in quanto è il metodo più flessibile in assoluto.
E il governo? In teoria, leggendo il suo programma elettorale, dovrebbe seguire il parere espresso da ISOC e voluto dall’Europa, ma quel programma in base al quale – e solo in base a quello – lo abbiamo eletti è acqua passata.
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