Utilizzare uno strumento peer-to-peer, ossia un sistema di file sharing, non è illegale: questa non è certo una novità, ma è una delle affermazioni più importanti contenute nella richiesta di archiviazione di un caso legato all’uso del P2P da parte di utenti italiani. Una richiesta della Procura della Repubblica di Roma accolta dal Tribunale ed ora pubblicata, un documento che che nelle scorse settimane, prima ancora che ne venissero resi noti i contenuti, aveva fatto gridare molti all’avvenuta legalizzazione delle attività di condivisione online di opere protette dal diritto d’autore. Una notizia fasulla rimbalzata sulle prime pagine di molti media mainstream.
È il celebre giurista ed esperto di cose della rete Daniele Minotti a indicare l’avvenuta pubblicazione della richiesta di archiviazione. Dal documento emergono tre nodi principali, il primo dei quali è, appunto, la sostanziale legalità dell’uso di un sistema peer-to-peer. Il secondo, di un certo rilievo, mette in luce come usare il peer-to-peer significhi utilizzare uno strumento privo di intermediari , dove i fornitori di rete altro non offrono che un “mero supporto tecnico” a questa attività come a tante altre. Il terzo punto, destinato a far discutere di più, è la non certezza della rilevanza penale di download e upload, ossia condivisione.
Minotti si dice critico su questa “incertezza”, e le sue ragioni sono ben note , ma avverte su quanto sia importante leggersi bene le cose prima di sbandierare ai 4 venti che sia legale dedicarsi ad attività considerate illecito (o penalmente rilevanti). Il fatto che poi in Italia vi siano milioni di utilizzatori di sistemi di file sharing e che il P2P venga utilizzato indipendentemente dalla legalità o meno del suo utilizzo, rimane evidentemente del tutto pacifico.
Ma, venendo ai contenuti della richiesta di archiviazione , ciò che emerge con eccezionale rilevanza, come già osservato su queste pagine, è la sostanziale innocenza attribuita ai siti di link P2P considerati come servizi che “si limitano ad autenticare l’utente che viene successivamente smistato verso altre reti ibride e decentralizzate in tutto il mondo (trattasi di molteplici server di transito che operano in genere per breve momento, in paesi esteri e che a loro volta non sono al corrente degli scambi di programmi che avvengono direttamente tra gli utenti finali)”. Una visione evidentemente molto attenta alla realtà tecnica della rete , destinata ad interessare i molti gestori di siti di link che in questi anni sono finiti nel mirino dei detentori del diritto d’autore.
L’ incertezza sulla rilevanza penale di certe attività è dovuta, si legge nella richiesta, al fatto che spesso gli scambi avvengono “estero su estero”, che lo scambio tra utenti “può avvenire sì per copie ma anche per originali lecitamente acquisiti, onde dovrebbe essere dimostrata l’illegittima acquisizione dell’originale medesimo con mezzi investigativi sovente esperibili solo in territorio estero”, al fatto che all’estero non sempre ci si è espressi “contro coloro che scaricano o consentono lo scarico di filmati o altri prodotti protetti dal diritto d’autore”. Ma, soprattutto, al fatto che “le condotte che si vogliono censurare penalmente abbiano tale rilevanza (è indiscusso viceversa che sia colui che è download che colui che è upload commetta un torto di natura civilistica per i diritti di autore, chiunque evasi). Ciò soprattutto perché non sempre è ravvisabile quel lucro espressamente richiesto dalla norma penale; ma viceversa al più vantaggi del tutto indiretti e non conseguenti con certezza alla condotta da censurare penalmente (vale a dire solo di chi è upload)”.