L’ultimo atto del braccio di ferro sull’intelligenza artificiale si è consumato. Da una parte, 61 paesi pronti a firmare una dichiarazione congiunta per un’AI “aperta, inclusiva, trasparente, etica, sicura“. Dall’altra, i grandi assenti: Stati Uniti e Regno Unito, che hanno scelto di non aderire.
USA e UK non firmano la dichiarazione al summit di Parigi sull’AI
A spiegare le ragioni del No americano ci ha pensato il vicepresidente JD Vance, che dal palco del vertice ha tuonato: “L’AI deve rimanere libera da pregiudizi ideologici e non sarà cooptata come strumento di censura autoritaria“. E ha ribadito: “Gli Stati Uniti sono i leader nell’AI e la nostra amministrazione intende mantenerli tali“.
L’Europa divisa tra regole e innovazione
Ma se oltreoceano si punta sulla libertà assoluta, nel vecchio continente il dibattito è più sfumato. Mentre la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen ha difeso l’AI Act, il presidente francese Macron ha invitato l’Europa a semplificare le sue regole per essere competitiva con il resto del mondo.
Secondo Macron è necessario evitare il dilemma rischio-opportunità e il bisogno immediato di regolamentazione, che potrebbe bloccare l’innovazione. Allo stesso tempo, ha difeso il bisogno di regole: “Non è una questione di sfiducia o di ostacolare l’innovazione, ma di permetterle di accadere a livello internazionale evitando la frammentazione“.
Dario Amodei di Anthropic, invece ha parlato di un’occasione mancata. L’AI presenta grandi nuove sfide globali e a suo dire, l’Europa deve muoversi più velocemente e con maggiore chiarezza per affrontarle.
USA e UK fuori dal coro
Mentre il resto del mondo prova a trovare una quadra sull’AI, USA e UK sembrano voler fare da soli. Una scelta che rientra nella linea diplomatica dell’amministrazione Trump, che ha già portato al ritiro da diversi consessi internazionali, dall’OMS all’accordo di Parigi sul clima. Ora anche l’AI finisce nella lista dei terreni di scontro.