Se Facebook in tempi recenti è stata talvolta accostata alla corrente repubblicana, in primis per via degli attacchi rivolti indirettamente alla figura di Soros, Google è invece per molti filodemocratica. Insomma, se ci si perdona l’incasellamento in macrocategorie, richiamiamo alla mente una delle ultime provocazioni di gaberiana memoria e diciamo che per un social network di destra, un motore di ricerca è di sinistra. Un po’ come il bagno nella vasca e la doccia, il culatello e la mortadella.
Sundar Pichai al Congresso USA
Sarà uno dei punti che Sundar Pichai dovrà chiarire nel suo intervento di fronte al Congresso USA fissato per la prossima settimana, più precisamente per la giornata di mercoledì 5 dicembre. Un appuntamento che bigG ha mancato in settembre, nonostante l’invito ricevuto, quando invece al Campidoglio erano stati avvistati Sheryl Sandberg (COO di Facebook) e Jack Dorsey (chairman di Twitter). Allora a Washington decisero in modo bipartisan di lasciare al tavolo un posto vuoto con l’etichetta “Google”.
Di seguito uno dei tweet condivisi da Donald Trump in merito al presunto comportamento pregiudizievole e non obiettivo del gruppo di Mountain View: nel post si fa riferimento a risultati delle ricerche “truccati” e a un’indicizzazione privilegiata per le notizie provenienti da “Fake News Media”.
Google search results for “Trump News” shows only the viewing/reporting of Fake News Media. In other words, they have it RIGGED, for me & others, so that almost all stories & news is BAD. Fake CNN is prominent. Republican/Conservative & Fair Media is shut out. Illegal? 96% of….
— Donald J. Trump (@realDonaldTrump) August 28, 2018
L’obiettività degli algoritmi che regolano la composizione delle SERP non sarà l’unico punto da affrontare nel colloquio tra Pichai e l’House Judiciary Committee. Il focus sarà anche sulle pratiche attuate in relazione alla privacy degli utenti (ci viene in mente il bug che per anni ha interessato il social network G+), alle cause antitrust che il gruppo si trova ad affrontare in tutto il mondo (molte delle quali in Europa) e al già parecchio discusso progetto Dragonfly che vorrebbe a breve il motore di ricerca tornare operativo in Cina.
Dipendenti Google contro Dragonfly
Proprio quest’ultima iniziativa è oggetto nella giornata di oggi di una lettera aperta firmata da decine e decine di dipendenti. La loro è una visione condivisa, tra gli altri, da Amnesty International. Si fa riferimento ai progetti che il paese asiatico ha messo in cantiere o ha già reso operativi per la sorveglianza dei cittadini e per esercitare un profondo controllo sulle informazioni che li riguardano: tra questi citiamo la volontà di assegnare un rating a ogni abitante e il sistema che riconosce un individuo da come cammina. In un contesto di questo tipo, proporre una versione del motore di ricerca modificata ad hoc per sottostare alle imposizioni del governo centrale può risultare pericoloso per le libertà.
La nostra opposizione a Dragonfly non riguarda la Cina: ci opponiamo all’impiego di tecnologie che aiutano i potenti nell’oppressione dei più vulnerabili, ovunque accada.
La censura e la disinformazione potrebbero trovare terreno fertile su una piattaforma di questo tipo, in contrasto con i principi (“Don’t Be Evil”) che da sempre accompagnano l’attività del gruppo. Anche di questo si parlerà la prossima settimana a Washington.